nostro inviato a Beirut
Ci tiene, il ministro degli Esteri, a rimarcare che questa missione a Beirut e Ramallah ha la benedizione americana, oltre a quella scontata delle cancellerie europee. Sullaereo che ieri allalba lo portava nella capitale libanese, con nonchalance ha lasciato cadere che «abbiamo un appuntamento telefonico col segretario di Stato americano che vuole parlarmi... bisogna vedere se la situazione logistica ci consentirà di rispettare questo appuntamento telefonico, e poi anche naturalmente per trasmettere un messaggio a Israele». A sera poi, dopo avere incontrato il presidente del Parlamento libanese, Nabil Berri, il premier Fouad Siniora e aver fatto visita ai nostri soldati di stanza a Tibnin, prima di imbarcarsi per Tel Aviv da dove oggi raggiungerà Ramallah per incontrare Abu Mazen, con ancor più distacco - sembrava quasi aver dimenticato largomento - Massimo DAlema ha risposto che sì, Condi lo aveva chiamato, «voleva essere informata di questa missione, delle opinioni che mi sono fatto. Mi ha anche dato le sue indicazioni, vuole che alla fine ci sentiamo di nuovo».
Probabilmente quella di Washington è la benedizione che non si nega a una missione senza speranza, specie se condotta da altri. Perché risollevar le sorti del governo Siniora a Beirut, ormai apertamente contestato da Hezbollah che pretende nuove elezioni, appare una fatica di Sisifo pure per Amr Mussa, il segretario della Lega araba che proprio ieri da Beirut, senza peraltro aver incrociato DAlema, stava recandosi a Damasco. Mettere poi daccordo in Palestina la presidenza laica di Abu Mazen col governo dellintegralista Haniyeh, che ormai si parlano a colpi di mitra e mortai, appartiene al campo dei miracoli. Non che il nostro ministro degli Esteri si faccia illusioni. È intelligente, ma che altro può fare se non giocarsi le poche carte che ha - sfoggiando più ottimismo di quanto ne nutra, come se il bicchiere fosse mezzo pieno mentre sè quasi svuotato del tutto - dal momento che in Medio Oriente ci siamo ormai con le mani e coi piedi?
Temerario sarebbe, a questo punto, non nutrire timori per i nostri soldati schierati con la missione Unifil nel Sud del Libano. Glielo hanno chiesto a sera, se non teme per il nostro contingente, localizzato in un territorio sotto controllo totale del Partito di Dio, che ora lItalia osteggia per appoggiare Siniora. E il titolare della Farnesina ha ammesso che i rischi esistono, pur preferendo attribuirli a influenze esterne. «Il clima intorno alla forza dinterposizione è positivo, ma certamente ci preoccupa il rischio che possa venire dall'esterno del Libano un attacco terroristico - ha detto il ministro degli Esteri -. Credo che sia giusto mettere in guardia le forze armate libanesi, l'Unifil, la polizia». Ai nostri soldati schierati nel cortile della caserma di Tibnin, DAlema ha detto: «Siamo fieri di voi».
Non può che essere fiducioso, DAlema: la nostra politica in Medio Oriente lha impostata lui, e non può fare marcia indietro pur se lo scenario che aveva prospettato si va facendo sempre più fosco. Qui a Beirut danno tutti per impantanato il piano di mediazione della Lega araba? Lui nega, «liniziativa di Amr Moussa non è giunta a un punto morto, e dopo i colloqui avuti qui, ho invece limpressione che abbia prospettive», rassicura. «È necessario sostenere la mediazione della Lega araba perché si ricostituisca un governo pienamente rappresentativo intorno a Siniora», non cè altro da fare. Come nei Territori dove va oggi del resto, nonostante le fazioni palestinesi si stiano sparando tra loro anche negli ospedali, «bisogna evitare una spirale di guerra civile». Sta con Abu Mazen DAlema, senza riserve. Vuol verificare con lui, «a nome dellUe», se può «essere recuperata in extremis» lipotesi di un governo di unità nazionale con Hamas, ma se ciò non fosse possibile dà ragione al presidente dellAnp: «Le elezioni non sono un colpo di Stato.
Avanti tutta dunque, e che il Bambinello ce la mandi buona. Stasera DAlema torna a Roma. Per il cenone di Natale con i nostri soldati, in Libano scenderà Prodi.