Politica

«D’Alema sbaglia a non ricordarsi» Tarantini teme per la propria vita

nostro inviato a Bari

E Gianpi, dietro gli occhiali scuri, disse: «Sbagliano quanti oggi dicono di non conoscermi o di non ricordarsi di me. Farebbero bene a ricordarsi chi sono». Poi lascia cadere lì un’appendice, dedicata alla cena della «Pignata» con il sindaco di Bari e «Baffino»: «Emiliano e D’Alema hanno detto di non conoscermi: se ce lo chiederanno gli inquirenti forniremo tutte le indicazioni utili». A sorpresa, l'ultimo giorno di una settimana caldissima per la procura di Bari diventa il Tarantini-day. L’imprenditore al centro delle inchieste baresi su escort, droga e impicci nella sanità regionale piomba con il suo avvocato Nicola Quaranta al quarto piano del palazzo di via Nazariantz, nell’ufficio del procuratore capo Antonio Laudati. I due sono lì per consegnargli direttamente l’esposto sulla fuga di notizie che ha portato un verbale zeppo di nomi, date, cene col premier, appuntamenti con il vice di Vendola (Sandro Frisullo, che ora risulterebbe indagato), direttamente sulle pagine del Corriere della Sera. Una fuga di notizie che, spiega a viva voce Tarantini a Laudati, «ha provocato danni devastanti, anche alla mia posizione processuale. Mi sento come un collaboratore di giustizia che, dopo aver rivelato ai magistrati i nomi degli autori di alcuni omicidi, vede le proprie confessioni pubblicate sui giornali». Tarantini afferma di temere per la sicurezza sua e della sua famiglia. L’imprenditore barese, tra l’altro, si è visto respingere la richiesta di patteggiamento. Laudati, dal canto suo, liquida la «visita a sorpresa» spiegando che «non aggiunge nulla» allo sforzo investigativo: lui all’indagine per capire chi abbia fatto uscire quegli atti secretati tiene tantissimo, perché «è la mia prima notizia di reato da quando sono arrivato a Bari, ed è un po’ come il primo amore, quindi voglio metterci il massimo impegno perché sia accertata la verità», spiega.
Tarantini invece, completo scuro, camicia bianca e Ray Ban neri, esce dal palazzo di giustizia inseguito dai giornalisti. Per le scale manda un saluto a una delle due gip che si sono astenute dai procedimenti nei suoi confronti, Dinda Carrieri, che ricambia con un cenno della mano. «Sono amiche, solo amiche», spiega. Si infila nel Suv Audi senza aggiungere altro, ma poco dopo arriva una dichiarazione di fuoco di Emiliano: «Ove Tarantini non chiarisca immediatamente che non mi ha mai conosciuto, che io non gli ho mai chiesto alcunché e che non sono mai andato a casa sua, lo querelerò senza indugio». Di magagne giudiziarie in piedi Gianpi ne ha abbastanza. Così, per telefono, qualcosa la chiarisce. «Emiliano? Confermo che nell’intercettazione del 2004 probabilmente non mi riferivo a lui, che certo non è mai venuto a casa mia né mi ha mai chiesto, almeno direttamente, appoggio elettorale. Forse mi riferivo a esponenti del Pd che mi chiesero un sostegno per la sua candidatura, che io comunque rifiutai perché ero amico del candidato di centrodestra, Lobuono». Sulla cena, però, dopo la mezza frase mattutina la bocca resta cucita: «Non posso rilasciare dichiarazioni, perché quell’appuntamento è oggetto di indagine». C’è spazio per il rammarico che quelle dichiarazioni diventate pubbliche suo malgrado abbiano gettato altra benzina sul fuoco del gossip antiberlusconiano: «Ci tengo a ribadire le mie scuse al premier. Lui con me si è comportato sempre in maniera esemplare, come solo lui sa fare. Io invece coi miei comportamenti ho tradito la sua fiducia, la sua stima e il suo rispetto. Ripeto, però. Le cene erano normali, normalissime, né equivoche né ambigue. E se talvolta ho pagato le ragazze era a sua insaputa.

Spero che Berlusconi possa perdonarmi, so che non sa portare rancore».

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