D’Ambrosio scopre la giustizia a orologeria

Il magistrato simbolo di Mani pulite critica i pm campani per il provvedimento a Sandra Lonardo: "Serve più rispetto per le istituzioni"

D’Ambrosio scopre la giustizia a orologeria

Avevamo scritto: «Manca solo Borrelli a dire che Mani pulite fu un golpe, dopodiché l’archiviazione della memoria sarà terminata e i ruoli del tutto capovolti». L’avevamo scritto il 17 gennaio, dopo che Scalfaro (Scalfaro) si era messo improvvisamente a denunciare il «tempismo singolare» con cui nel 1994 fu recapitato il celebre mandato di comparizione a Berlusconi. Ora non è arrivato Borrelli, ma nell’attesa è arrivato il suo ex vice Gerardo D’Ambrosio, e confidiamo che qualche lettore abbia buona memoria così da apprezzare la sua fantastica uscita di ieri: «Io non lo avrei firmato un provvedimento così grave per la moglie di Mastella. Quando si manda agli arresti domiciliari il presidente di un'assemblea elettiva, il giudice deve chiedersi quali saranno le conseguenze. Da parte dei magistrati ci vuole maggiore rispetto per le istituzioni, altrimenti l'unico argine sarà il ritorno all'autorizzazione a procedere cancellata nel '93 sull'onda di Tangentopoli».
Chissà che cosa ne pensa Piercamillo Davigo, il vate di Marco Travaglio, colui che giusto martedì sera, a Ballarò, ha ripetuto ciò che il Pool ai tempi di Mani pulite ripeteva come un mantra: le conseguenze politiche di un atto giudiziario non sono affar nostro, o meglio ancora: «Le conseguenze dei delitti devono ricadere su chi li ha commessi, non su chi li ha scoperti», come disse Davigo a margine di un suicidio eccellente. Chissà che ne pensa Di Pietro, o lo stesso Borrelli: in pratica D’Ambrosio, nei confronti di Sandra Lonardo intesa come presidente di una Regione, invoca quella sensibilità istituzionale e quella discrezionalità dell’azione penale che a suo tempo lui e il Pool non ebbero per nessuno, e tantomeno per un presidente del Consiglio che a Napoli peraltro era al centro di un’attenzione internazionale. Quello fu un atto improrogabile, indifferibile, fatale: quello per la moglie di Mastella invece andava soppesato meglio, si capisce. Che dire? Sia benvenuta ogni ponderata maturazione, per quanto D’Ambrosio abbia 77 anni e all’epoca dell’avviso a Berlusconi ne avesse già 64, ma non è mai troppo tardi. Un momento, non è finita, D’Ambrosio parla ancora dell’inchiesta contro i Mastella e precisa altre cose: «Se dovesse risultare che nell'inchiesta non c'è niente, ne uscirebbe un'immagine della magistratura devastante». E qui D’Ambrosio ha ragione, perché l’immagine della magistratura oggi invece è cristallina: il 58 per cento degli italiani pensa che la magistratura agisca per fini politici (sondaggio del Giornale di un paio di mesi fa) per non parlare di tutte le forzature e gli errori di Mani pulite che piacerebbe tornare a contabilizzare: ma basti che il macro-esempio di cui prima, il mandato di comparizione per Berlusconi a Napoli, instradò la fine di un governo e però si concluse proprio con un’assoluzione, l’assoluzione di Berlusconi. Finita? No, D’Ambrosio ne ha dette altre: «Io reintrodurrei l'interrogatorio dell'indagato prima che venga adottata una misura cautelare perché, da magistrato, ho sempre cercato di evitare di prendere cantonate quando si mette in discussione la libertà personale. La Procura avrebbe dovuto ascoltare quanto meno la parte lesa, perché a volte basta una spiegazione per far cadere le accuse». E qui, per rinfacciare a D’Ambrosio tutte le volte che il Pool rifiutò di ascoltare un indagato preferendo direttamente arrestarlo (se prima non si suicidava, come accadde con Gardini) servirebbe una pagina intera.
Meglio soffermarsi su quest’ultima uscita di D’Ambrosio, sempre ieri: «Io proporrei che l'indagato non possa ripresentarsi alle elezioni garantendo, però, una corsia preferenziale al suo procedimento nell'ultimo anno di mandato». E questa, di D’Ambrosio, è l’ennesima versione circa lo stesso problema. All’inizio del 2000, in un’intervista-confessione, disse che «Fin dall'inizio Berlusconi» tanto per fare un esempio «poteva affermare che, poiché come imputato veniva distratto dal suo incarico istituzionale, era necessario introdurre una sorta di immunità solo per il Presidente del Consiglio». E già qui c’è da immaginarsi che cosa sarebbe successo nell’Italia del 1994 se un Berlusconi appena eletto nonché insediato, tra inchieste e perquisizioni e soprattutto editti ambrosiani, avesse pure proposto, per se stesso, un’immunità istituzionale dai suoi processi. Ma questo è il meno. D’Ambrosio, ripetiamo nel 2000, disse che quella dell’immunità sarebbe stata una strada percorribile «a patto, naturalmente, che con essa si dicesse chiaramente che Berlusconi non si sarebbe più ripresentato politicamente fino a quando non avesse risolto i suoi problemi con la giustizia». Certo. Il dettaglio è che un Berlusconi che a suo tempo avesse deciso di astenersi dalla politica, e avesse deciso di farlo fin quando non avesse risolto i suoi guai con la giustizia, avrebbe dovuto astenersi dalla politica per sempre.

Berlusconi avrebbe dovuto lasciare interamente alla Procura di Milano, sulla cui smaccata faziosità si è via via costruito il tramonto di una stagione, il compito di decidere chi dovesse andare al governo e chi no. Non male.

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