D’Elia, sognatore del terzo millennio

Per capire cos'è il Don Chisciotte secondo Corrado d'Elia, che ha debuttato nei giorni scorsi in prima nazionale al Teatro Libero, basterebbe leggere la dedica-sottotitolo: «Ai pazzi per amore, ai visionari, a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno». «Questo spettacolo è uno studio su uno dei personaggi più rappresentativi della storia della letteratura e del teatro di tutti i tempi e fa parte di un percorso, che abbiamo dedicato ai sognatori, cominciato all'inizio della stagione con le Notti bianche di Dostoevskij», spiega Corrado d'Elia, direttore del Teatro Libero, attore e regista di questo Don Chisciotte di Miguel de Cervantes in scena come chiusura di stagione fino al 17 luglio (info 028323126). D'Elia non è nuovo a questi grandi eroi: dopo il successo lungo ormai tredici anni del suo Cyrano de Bergerac, maestro di spada e di parola, questa volta è rimasto stregato dall'iberico Don Chisciotte: «Mi piace la sua figura di grand'illuso, di difensore delle cause perse, di perdente. E' un eroe dei nostri giorni, un grande idealista che fa dell'illusione la sua ragione di vita. Oggi, invece, purtroppo, il mondo non ha tempo di sognare ad occhi aperti, senza capire che se mancano i sogni mancherà il futuro», spiega Corrado d'Elia che ha ritradotto il capolavoro secentesco e firma l'intero progetto. La pièce racconta di un uomo, l'hidalgo spagnolo Alonso Quijano, innamorato dei romanzi cavallereschi al punto da immaginare di diventare un cavaliere errante, Don Chisciotte della Mancia, e che parte per affascinanti avventure: «Don Chisciotte sarà al centro di una scenografia scarna e austera: io sarò sul palcoscenico dentro un piccolo, vecchio aereo e da qui racconterò, senza interpretarli, brani dell'opera e personaggi, dallo scudiero Sancio Panza all'amata Dulcinea. E' un aereo scrivania, dove Don Chisciotte vive circondato da fogli che gli volteggiano attorno e dai libri acquistati vendendo tutte le sue proprietà. E anche questo è un messaggio importante per il nostro periodo in cui la letteratura non è più arte, ma è diventata soprattutto economia e marketing». Il monologo fa parte della serie di spettacoli «album poetici» firmati da d’Elia, ovvero delle trasposizioni teatrali di un libro che ha particolarmente amato. Ma perchè il teatro s'ispira sempre ai classici della drammaturgia per raccontare il mondo contemporaneo e non porta in scena testi scritti su misura per il nostro tempo? «Per me è difficile rispondere, perché io sono un amante dei classici, di Shakespeare, soprattutto, e di Pirandello che spero, non appena avrò la maturità giusta, di portare in scena», dice l’attore-regista, quarantatré anni, anche fondatore del circuito Teatri Possibili che consorzia molti palcoscenici italiani.

«I classici fanno ormai parte del nostro linguaggio e credo che ciò che conti per parlare agli spettatori di oggi con le parole di ieri sia l'allestimento delle opere letterarie e teatrali: non è il cosa ma è il come che conta».

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