D'Agostino, storia nera di un killer sempre libero

Catturato il camorrista che ha ammazzato un imprenditore a Pescara. Ha commesso 15 omicidi, ma tra "pentimenti" e permessi è sempre riuscito a uscire di cella. Da due giorni in fuga, davanti ai mitra dei militari s'è arreso

D'Agostino, storia nera  di un killer sempre libero

Così per il gusto di uccidere. Ma ieri, Michelangelo D’Agostino «il killer dei 100 giorni», il cane sciolto della camorra che da trent’anni ammazza impunito, non c’è riuscito. O meglio, non ha potuto. Di fronte agli M12 dei carabinieri spianati col colpo in canna ha alzato le mani. Senza toccare la 7,65 nella cintola, quella con cui domenica pomeriggio aveva ammazzato un uomo a Villa de Riseis. La sedicesima tacca sul calcio della sua semiautomatica, un’arma giocattolo modificata. Due colpi a bruciapelo, uno al petto l’altro alla tempia. Per punirlo di un commento. Giocava a carte con gli amici la vittima, Mario Pagliaro, 64 anni, titolare di uno stabilimento balneare. È stata una frase, buttata lì con gli amici di briscola a costargli la vita: «Ma come si fa a tenere uno così a fare il guardiano del parco». Non sapeva di aver di fronte un assassino tanto spietato quanto pazzo. Lui D’agostino ha sentito, è andato nello spogliatoio dove teneva l’arma, è tornato e ha sparato. Così per il gusto di uccidere. Anzi per dirla con le sue parole dopo l’arresto, «perché mi sentivo trattato male, pensavo che si approfittassero di me vista la mia condizione».

Lezioni in carcere L’omicidio per lui non è una novità, camorrista «quasi per caso» cresciuto in carcere e capace agli inizi degli anni ’80 di conquistarsi la fiducia dell’ex grande capo della Nco Raffaele Cutulo. Era rinchiuso a Pianosa, allora praticamente uno sconosciuto, piccolo bandito di paese tra una poliedrica folla di criminali ben più «pesanti». Eppure raccontò di lui il giudice Vincenzo scolastico: «D’Agostino aveva due qualità. Fondamentali in quell’ambiente: era di una ferocia senza limiti e non aveva scrupoli».

Luogotenente del boss Così i cutoliani lo arruolarono. Primo compito punire due galeotti di una fazione nemica. Parlavano male del nuovo boss, Lui li accoltellò nell’ora d’aria. Era il 1981, 10 ottobre. La data se la fece tatuare sulla spalla. Ecco come «Mike», il nomignolo che si era scelto quando ancora faceva il ladro d’auto, entrò nei libri paga della Nuova camorra organizzata.

La vita nel clan Nato sotto il segno dell acquario, figlio di un pregiudicato di Cesa (paese a pochi chilometri da Aversa, nel Casertano), sette tra fratelli e sorelle, a 12 anni D’Agostino comiciò il suo personalissimo percorso di bandito sempre libero. Cominciò col farsi cacciare da scuola. Motivo? Aveva massacrato di botte un compagno. A dispetto della scarsa prestanza fisica. A 14 emigra in Svizzera e Germania, impara a fare il muratore. Ma le liti continue coi colleghi gli costano il licenziamento. Così rimpatria. A Cesa il suo quartier generale diventa l’osteria di «Totonno ’o musicante», una bettola frequentata da balordi come lui. Non ha ancora vent’anni. «Faticando onestamente non si fanno molti soldi - dice agli amici -. E io prima di morire voglio comprarmi un paio di palazzi». L’esordio va male. Ruba una bici di un metronotte che lo insegue e lo cattura. Ci riprova, passa ai motorini, poi alle auto, alle piccole rapine. E per questo finisce appunto a Pianosa. Poi nel carcere di Benevento. Qui il vero primo botto: uscito con una licenza premio non rientra. Trova protezione dal boss della Nco: «Fai pure di testa tua», lo incita Cutolo. «Basta che incrementi gli affari».

Killer spietato D’Agostino si dà alla droga, solo coca, «perché l’eroina è contraria a miei principi», confesserà, e alle estorsioni. «Ero il sindacalista della camorra», spiega ai giudici. Ma soprattutto diventa il killer forse più affidabile dell’organizzazione. «Se don Raffaele mi diceva “va’ e spara”, andavo e ammazzavo, ma impugnavo la pistola anche se lui non mi chiedeva niente. C’è gente che è morta per un battito di ciglia interpretato male».
Così, per il solo gusto d’uccidere. Prima vittima, il 24 gennaio 1983, il barista Vincenzo Palazzo. La sua colpa? Si era rifiutato di pagare il pizzo. Comincia l’escalation. Il 22 febbraio tocca a Clemente Palazzo e Antonio Diana, poi il 5 del mese successivo al vicecomandante della prigione di Santa Maria Capua Vetere. Il maresciallo Pasquale Mandato viene massacrato proprio davanti alla prigione da una dozzina di picciotti. Lui, D’Agostino, gli spara il colpo di grazia, alla tempia. Un monito, un avviso allo Stato: «Qui comandiamo noi». Il 16 marzo è la volta di Antonio Di Martino, poi la P38 di D’Agostino sputa la sua ennesima sentenza contro Francesco Davigo, uno della sua stessa banda. «Aveva intenzioni bellicose - raccontò qualche mese più tardi, da pentito, il camorrista -. Così lo liquidai, guardandolo fisso negli occhi».

Scia di sangue La scia di sangue non si ferma. Saranno 15 in tre mesi i suoi cadaveri. Il 23 marzo nell’elenco dei de cuius ci finisce Francesco Perfetti («dopo averlo ammazzato lo presi a calci»); il 5 aprile Mario Della Corte, un carabiniere in borghese a cui voleva rapinare la macchina. Gia che c’era fece fuoco anche contro la ragazza che gli sedeva accanto. Sopravvisse, lei, ma rimase sfigurata. Arrestato due giorni più tardi, dopo un conflitto a fuoco coi carabinieri a Garigliano, D’Agostino scoprì che la giovane era una sua parente. Forse anche per questo decise di «pentirsi». Cominciando anche ad accusare oltre ai cutoliani anche il giornalista e presentatore Enzo Tortora. Una collaborazione poco convincente la sua, condita spesso da ritrattazioni e «verità» senza conferme. Sta di fatto che, per questo, la sera del 16 settembre ’83, nella piazza principale di Cesa, gli ammazzarono il padre Isidoro.
Da quel momento la vita di questo sicario di camorra è un peregrinare. Tra carceri e libertà incomprensibili, frutti di licenze, permessi premio e altre varie regalie giuridiche.


Resta infatti ancora da capire come avesse ottenuto, nonostante i 30 anni di pena, di uscire di galera per andare a lavorare 3 mesi come guardino del parco a Pescara. Proprio da quelle parti, Spoltore, lo stesso posto dove ieri è stato catturato, nel 2005 aveva rapinato un bar. Arrestato e processato. Eppure, ancora una volta, nonostante tutto, di nuovo in libera circolazione.

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