Dai grandi magazzini è sparito il presepe

Molti impiegati dicono: «Poche richieste? Ma se li vogliono in tanti»

da Milano

Non chiedete del Bambino, non c’è. Non ci sono anche San Giuseppe e la Madonna. E mancano pure il bue e l’asinello. Idem i pastori con le pecorelle, la mangiatoia e il necessaire di una coreografia, quella del presepe, che è simbolo del Natale. Accade nei grandi magazzini, dove per la prima volta il presepe è sparito dagli scaffali.
Scelta aziendale che accomuna la Rinascente alla Standa e all’Oviesse. Motivo? Questione di business, ovvero «il presepe non tira più» sostengono i responsabili del marketing e degli uffici acquisti: «Ogni centimetro di scaffale deve rendere “ics“ e se quel prodotto non vende, be’ viene rimpiazzato da un altro che piace e che rende “ics”». Risultato? Via mangiatoia e statuette, largo agli alberi (di plastica riciclata), palle colorate, nastrini e tutto l’occorrente.
Eppure, al sesto piano della Rinascente milanese, quella in piazza Duomo, le commesse ricevono continue richieste di mangiatoie e affini, di muschio essiccato e di statuette dei Re Magi: «È un via via continuo di persone che reclamano il presepe e che alla Rinascente hanno sempre trovato una gran varietà di pezzi da presepe, anche quelli da collezione». Virgolettato che conforta Salvatore Bastini dell’associazione italiana Amici del Presepe, «prova che gli italiani sono affezionati, affezionatissimi a questa tradizione e che è un’autentica assurdità quella di non offrire ai clienti la possibilità di costruirsi un presepe in casa».
E mentre i leghisti protestano, «liberi i commercianti di fare quello che vogliono, escluso però di cancellare un’usanza cattolica troppo preziosa per sparire» chiosa l’assessore meneghino Massimiliano Orsatti, anche l’Ikea s’allinea agli altri colossi della grande distribuzione.
Ma, attenzione la spiegazione della società svedese specializzata nel settore dell’arredamento, non è quella del «calo di vendita»: «Abbiamo in catalogo tanti addobbi natalizi e in particolare quelli per l’albero di Natale che è un simbolo, diciamo, più “trasversale”. L’albero lo fa la maggioranza delle persone, anche nei Paesi musulmani mentre il presepe è tipico della tradizione cattolica».
Chiaro? Questione sì di vendita - «il presepe esce dal target di Ikea» - ma pure di natura religiosa, «nessun simbolo religioso è offerto nella nostra catena». Come dire: il problema per Ikea è soprattutto di natura religiosa ossia vuole evitare nei suoi negozi quegli oggetti valutati comunque di troppo per i clienti «non cattolici». Toglierli è però considerata «un’idea laica ed eccelsa» da parte del critico d’arte Philippe Daverio: «La scomparsa del presepe mi pare come un segno, il primo vero segno di rinascita intellettuale a Milano. È una tradizione che non ha nulla a che spartire con la nostra identità».
Opinione, però, che scatena la polemica. Non ci sta, per esempio, don Cesare Contarini, direttore del settimanale diocesano patavino La difesa del Popolo, che nella decisione di eliminare i presepi vede «un segno della secolarizzazione» mentre gli stessi presepi sono visitati da migliaia di persone quando sono messi in mostra.
Ma l’abolizione del presepe nel nome del relativismo culturale non va giù anche a Magdi Allam che, in passato, aveva denunciato come questa decisione era stata presa anche in molte scuole elementari e medie da presidi e insegnanti «per non urtare una supposta suscettibilità degli studenti musulmani» sia sbagliata: «L’Islam, al pari del cristianesimo, venera Gesù e Maria e riconosce il dogma dell’Immacolata concezione».
Invito all’esaltazione della festa del Natale, ad un momento di «condivisione spirituale, di partecipazione religiosa e di intesa umana» con il suo presepe.

Quello che don Virginio Colmegna, ex direttore della Caritas milanese, realizzerà pochi giorni prima della vigilia di Natale, «anche quest’anno lo rifaremo, magari sperando che diminuiscano i tanti Babbi Natale che vediamo in giro e che, quelli sì, non hanno significato».

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