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Dall’eurotassa all’Irap: così l’Ulivo spreme l’Italia

Schierati contro la riduzione delle imposte alle imprese, contestano pure le agevolazioni ai redditi più bassi. Il motto: la priorità è la spesa

Dall’eurotassa all’Irap: così l’Ulivo spreme l’Italia

Gian Battista Bozzo

da Roma

Ben prima che Giulio Tremonti, col suo humour al curaro, definisse l’arrivo di Vincenzo Visco alle Finanze nel ’96 come la nomina di Dracula all’Avis, l’equazione «governi di sinistra-più tasse» aveva avuto molte, splendide conferme. Una per tutte, l’introduzione dell’Imposta straordinaria sugli immobili (Isi), successivamente ratificata in Imposta comunale sugli immobili (Ici), nella memorabile manovra del settembre ’92 del governo Amato, dalla quale il Paese non si è più ripreso.
Altri esempi? Per farne uno, il governo Prodi è riuscito nell’impresa di collegare persino l’ingresso dell’Italia nell’Unione monetaria europea ad una imposta straordinaria, l’«Eurotassa» appunto. La stessa Irap - meglio nota come «la tassa più odiata dagli italiani» - è stata una creatura della sinistra, tanto mal riuscita da diventare bersaglio della Corte di giustizia europea, tanto che con tutta probabilità dovrà essere abrogata e sostituita.
L’ostilità filosofica alla riduzione delle tasse viene spesso allo scoperto nelle parole degli esponenti della sinistra. Ecco Piero Fassino, segretario dei Ds, l’8 ottobre scorso al convegno della Confindustria di Capri: «La priorità economica del Paese è la spesa per l’innovazione, le imprese, le infrastrutture. E come può, in questo quadro, essere sostenibile la parola d’ordine del taglio generalizzato delle tasse, come ha fatto questo governo? In qualsiasi nazione civile il fisco è lo strumento con cui si finanziano asili, scuole, ospedali, università, ferrovie». Ancora il segretario della Quercia: «La Cdl parla delle tasse come un furto dalle tasche degli italiani, legittimando l’evasione».
Tale è sempre stata l’ostilità alle riduzioni della pressione fiscale, che anche il primo taglio delle tasse del governo Berlusconi - quello destinato ai redditi più bassi - venne bocciato dal centrosinistra. Non parliamo poi del cosiddetto «secondo modulo», quello deciso con l’ultima legge finanziaria, che ora l’opposizione vuole abolire con un emendamento alla manovra 2006. «Se taglio le tasse ai redditi medio-alti - ha spiegato Romano Prodi a Radio Popolare il 31 marzo scorso - non c’è nessun beneficio perché, a chi ha livelli alti di ricchezza, la riduzione non dà alcun vantaggio. Per far crescere i consumi bisogna aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori». Pochi giorni prima, il Professore aveva spiegato a Bari che «l’Irap dovrà essere sostituita, quindi bisognerà trovare qualcosa che dia lo stesso gettito»: attenzione, non un centesimo di meno.
«Prima di ridurre le tasse, bisogna che le paghino tutti», questo il refrain del leader dell’Unione. Non risultano, tuttavia, successi travolgenti nella lotta al nero e all’evasione durante i lunghi anni di governo del centrosinistra, prima e dopo il rimescolamento politico italiano. «Più tasse sulle rendite, meno sul lavoro», è il secondo slogan fiscale del centrosinistra. Alcuni lo pronunciano in modo soft, come lo stesso Prodi a Capri: «Le tasse sull’ora lavorata sono troppo alte; ci vuole una tassa più leggera sul lavoro e una più pesante sulle rendite». Altri, come Fausto Bertinotti, sono più diretti: «Il fisco deve ovviare a una patologica redistribuzione della ricchezza: per contrastare la crisi economica - dice il leader di Rifondazione - serve una politica sociale di attacco alla rendita».
Al convegno di Capri, Visco ha deluso gli industriali affermando che «la richiesta di riduzione delle tasse solo a favore delle imprese è del tutto inopportuna». Insieme con la sinistra, anche il sindacato confederale ha sempre visto di traverso i tagli fiscali. L’annullamento delle aliquote 2005 è stato sollecitato, sempre a Capri, dal segretario cislino Savino Pezzotta: «Quei sei miliardi di euro diamoli al Sud», ha proposto. E già nella primavera scorsa, dopo neppure tre mesi di vigenza delle nuove aliquote, Guglielmo Epifani aveva deciso che «la riduzione fiscale non ha fatto crescere i consumi e il commercio».

E sull’Unità ha aggiunto: «Cari miliardari, almeno pagate le tasse».

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