Roma Per risolvere i misteri di unindagine nata male, e finita peggio, occorre partire proprio da quel maledetto pomeriggio di San Valentino. Quando due ragazzini, 14 anni lei, 16 lui, chiedono aiuto in un bar vicino al parco romano della Caffarella. Raccontano di esser stati rapinati da due sconosciuti, che a turno hanno abusato della giovane. Alla polizia ripercorrono le fasi dello stupro e forniscono unidentikit. Passano quattro giorni e la ragazzina identifica in foto il romeno Alexandru Loyos Isztoika, subito rintracciato e arrestato. Il 18 febbraio, alle due di notte, il «biondino» dellest crolla, confessa e coinvolge il connazionale Karol Racz, che finisce ammanettato di lì a poco a Livorno.
Gli inquirenti esultano, ma già in questa fase più di qualcosa non torna: il fidanzatino dice di esser stato avvicinato da due persone mentre si trovava su una «panchina» nel parco, circostanza non vera (smentita solo ieri dagli inquirenti) eppure ripetuta pari pari da Isztoika nel suo primo interrogatorio. La ragazza conferma che i violentatori parlavano italiano (il giovane addirittura riferisce di alcune frasi in dialetto romanesco, altre in lingua araba), mentre Racz, ad esempio, non spiccica parola nella nostra lingua. E poi aggiunge che il secondo aggressore aveva capelli folti e lunghi e con una specie di frangetta, robusto e alto circa 1 metro e 75: Racz invece è praticamente calvo, o quasi, ed è alto 1 metro e 55.
In quei momenti gli investigatori hanno in mano anche la «prova» che i cellulari degli indagati, in funzione allora dello stupro, non erano agganciati ai ripetitori telefonici nella zona della Caffarella. Vuoi la pressione dei media, vuoi la convinzione che per larresto bastano e avanzano un doppio riconoscimento fotografico e una confessione videoregistrata, il caso viene dichiarato chiuso ancor prima dellesito (imminente) del Dna. Ma il «biondino» rovina la festa. Decide di ritrattare tutto e rivela che nella notre tra il 17 e il 18 febbraio, prima del faccia a faccia col pm, quattro poliziotti arrivati dalla Romania, rimasti soli con lui, lo convinsero a confessare a suon di schiaffi e minacce. «Io dicevo una cosa, e loro dicevano e spiegavamo come le cose fossero andate in un modo differente» che poi corrispondevano a quelle confessate dai due fidanzatini. «Mi buttavo a caso, e loro mi menavano fino a che non dicevo la cosa giusta». Vero? Falso? Non lo sappiamo. «Io non cero nel parco» urla Isztoika facendo i nomi e i cognomi di chi può confermargli lalibi.
La polizia italiana nega qualsiasi pressione. Quella romena smentisce violenze fisiche e verbali, e anzi specifica che nel pre-interrogatorio del 18 febbraio il «biondino» aveva addirittura confessato di esser stato solo durante lo stupro, salvo poi coinvolgere il «pugile» di fronte alla domanda : «Mentre lei violentava la ragazza, il fidanzato cosa faceva?». Lo teneva bloccato, ovvio.
In contemporanea alla ritrattazione, lesame del Dna irrompe nellinchiesta. Il test genetico sul liquido seminale e sulle sigarette fumate durante la violenza sessuale (della stessa marca Winston - specifica la procura - di quelle solitamente acquistate al tabaccaio dal «biondino») scagiona entrambi gli arrestati. Le impronte digitali sulle Sim dei telefonini rubate ai fidanzatini e buttate via dagli stupratori, non corrispondono ai due romeni in manette. Ed anche le macchie di sangue rinvenute sui jeans di Isztoika, che si pensava appartenessero alla vittima, hanno dato torto alla polizia e ragione al «mostro». Ci si dimentica, invece, di passare al microscopio limpermeabile che il proprietario del «Simon Bar» avvolge intorno al corpo seminudo della ragazza da poco violentata. Sullonda del Dna si punta allora su un terzo romeno, Ciprian Chioschi, detto «Ciprian tre dita», pluripregiudicato, inizialmente riconosciuto dal fidanzatino in foto. Peccato che tre giorni prima dello stupro, o forse due, il sospettato - secondo la polizia romena - era tornato in patria. Insieme al fratello, due gocce dacqua col biondino della ritrattazione. Ma il test genetico apre unulteriore strada che porta a un altro romeno, il quarto, il cui cromosoma Y è vagamente compatibile con le tracce di Dna lasciate sul luogo dello stupro. Ma non è sicuramente il colpevole: a San Valentino si trovava in cella. Si inizia così a parlare di un suo lontano parente - e siamo a cinque romeni - pure questo somigliante al «biondino». Dopodiché si fa vivo un medico di Aprilia che faceva jogging nel parco: alla polizia afferma dessersi imbattuto in un biondino e in un giovane di carnagione scura «a cui mancavano due denti», proprio come a Racz, privo degli incisivi inferiori. Questo, più la confessione (poi ritrattata) più i riconoscimenti fotografici, basta e avanza agli inquirenti per premere sullacceleratore. Linchiesta è dichiarata chiusa nonostante le smentite dal Dna, le insanabili discrasie negli interrogatori, i riscontri poco puntuali, lalibi dell«orco».
(ha collaborato Luca Rocca)
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.