da Roma
Due carabinieri, due agenti segreti considerati fra i più bravi in circolazione, arrivati ai vertici del Sismi. Uno brigadiere, laltro ufficiale di lungo corso. Due carriere che si sono a lungo incrociate, insieme a quelle di molti altri investigatori impegnati nellantiterrorismo durante e dopo gli anni di piombo, sfociate poi nella stessa direzione dellintelligence che si occupa di controterrorismo nazionale ed internazionale. Mancini ha cominciato la sua carriera come sottufficiale dellArma e, a Milano, si è occupato soprattutto di terrorismo ed eversione. Numerose le operazioni contro le Brigate Rosse e Prima Linea, e conseguenti arresti di personaggi di spicco del terrorismo rosso. Ma da molti anni è transitato nel servizio segreto militare, dove ha ricoperto diversi incarichi, fino a diventarne di fatto il numero due. Una carriera lampo, costellata di successi e premiata, sul campo, dal direttore del Servizio, Nicolò Pollari. Tra gli altri incarichi assunti da Marco Mancini, quello di capocentro a Bologna, responsabile dei centri Sismi del nord Italia (proprio ai tempi del sequestro Abu Omar) e, da circa tre anni, capo della Prima Divisione, fiore allocchiello dellintero Servizio, una delle strutture nevralgiche di Forte Braschi, quella che si occupa di controspionaggio e controterrorismo e che ha «trattato», ad esempio (con la divisione operazioni di Nicola Calipari) tutte le vicende degli ostaggi italiani in Iraq e in Afghanistan. Cera anche Mancini, così, sulla scaletta dellaereo che ha riportato a casa Giuliana Sgrena. Lo si vede in primo piano mentre aiuta la giornalista a scendere sulla pista dello scalo romano di Ciampino. Marco Mancini è diventato in poco tempo un punto di riferimento della lotta al terrorismo internazionale. A lui e alla sua squadra si deve, per esempio, loperazione che ha portato a sventare lattentato alla nostra ambasciata a Beirut con larresto di un gruppo di terroristi pronti ad entrare in azione. La squadra di Mancini ben si comportò in quel frangente potendo contare sullaiuto di alcuni servizi segreti mediorientali. Altra «impresa» della Prima Divisione fu la sequela di allarmi lanciati prima dellattentato al nostro contingente militare a Nassyria. Con dettagliate informative, redatte sulla base di alcune soffiate provenienti da fonti interne alla guerriglia sunnita, Mancini e il suo gruppo riuscì addirittura ad avere i numeri di targa delle autobombe utilizzate nellassalto che fece strage di carabinieri e militari dellesercito.
Il generale Gustavo Pignero, invece, era già stato al centro della cronaca più di 30 anni fa, quando era capitano nel nucleo speciale antiterrorismo dei carabinieri di Torino. Era stato proprio lallora capitano Pignero a trattare linfiltrazione nelle Brigate rosse di Silvano Girotto, il cosiddetto «Frate Mitra», che l8 settembre 1974, a Pinerolo (Torino), portò allarresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini, i principali leader brigatisti. Dopo il loro arresto, la guida delle Br passò a Mario Moretti e la natura del gruppo terrorista cambiò radicalmente con una svolta cruenta e militarista. Proprio su questo aspetto il ruolo di Pignero aveva suscitato qualche polemica. Girotto infatti aveva incontrato anche Moretti e tutti i suoi incontri con i brigatisti erano stati fotografati (cosa confermata anche dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa), ma le foto di Moretti non sono mai comparse negli atti della vicenda.
Questa ricostruzione è stata confermata il 10 febbraio 2000 dallo stesso Girotto in unaudizione presso la commissione parlamentare dinchiesta sulle Stragi. La stessa commissione stragi aveva convocato per il 27 giugno del 2000 un'audizione di Pignero, che però fu rinviata all'ultimo momento e non fu mai rimessa in calendario.
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