Dalle convergenze alle metafore osé Ora si fa politica parlando di sesso

Addio al linguaggio per addetti ai lavori. Oggi i parlamentari si concedono qualche caduta di stile. Anche gli insospettabili

da Milano

Ripensi al politichese in bianco e nero degli anni Settanta, intere famiglie davanti al Tg delle 20 a tentare invano di tradurre le «convergenze parallele» e le «sinergie di nicchia» e pensi che va bene anche così, se proprio non c’è alternativa. Poi ti viene in mente il George Orwell di «1984», la dittatura che per addomesticare le masse impone una Neolingua, e allora rifletti che magari un freno, alla lingua, bisognerebbe metterlo. In attesa di scoprire se in Italia si instaurerà un regime pornografico, non resta che ascoltarli. Timidamente o sfacciatamente, gli onorevoli buttano sul sesso la difficile arte di far politica. E chissà che così non si semplifichi.
Ci sono quelli da cui te lo aspetti per quel loro rivendicare un atteggiamento nazionalpopolare. Come Francesco Storace che, esortato a dire qualcosa di destra, pronunciò l’ormai epico: «A froci!». E Umberto Bossi, che commentando la vicenda delle intercettazioni, s’è prodotto in un: «Meglio noi del centrodestra che andiamo con le donne, che quelli del centrosinistra che vanno con i culattoni». La misura del fenomeno però la danno gli insospettabili. Uno come il prodiano Arturo Parisi, per dire, per descrivere l’immobilismo del Pd ha levato un grido di dolore sui «giorni dell’impotenza». Oppure uno come Roberto Formigoni, il governatore lombardo vicino a Cl al centro di una leggenda su un voto di castità mai confermato né smentito, che parlando di una potenziale intesa fra Pdl e Udc s’è lasciato scappare un pudico ma ammiccante: «Per certe cose bisogna essere in due». Tutti castigati, comunque, rispetto al Pier Ferdinando Casini del primo agosto scorso. Imperversava la solita bufera sulla Rai e lui, intervistato da «Omnibus Estate», dimenticò la vecchia scuola democristiana e un maestro di austerità come Arnaldo Forlani uscendosene così: «I direttori dei tg della Rai? Sono talmente a pecora sul governo, che meglio di così Berlusconi non potrebbe averli». Imbarazzo generale, redazioni che pregavano il leader centrista di scusarsi per quella frase e lui che faceva spallucce: «Se l’espressione “a pecora” è offensiva me ne scuso, ma la sostanza politica rimane. Questa espressione un po’ casereccia è brutta, ma la sostanza mi preme ribadirla». Insomma, ormai il lessico sessuale è sdoganato. E allora, ecco il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli tratteggiare così Antonio Di Pietro: «Da magistrato era uno che godeva di più a mettere in galera una persona che ad avere una donna». Ed ecco Maurizio Gasparri - presidente dei senatori Pdl - sbattere la porta in faccia a Daniela Santanché con un: «Denis Verdini dice che si può dialogare con lei? È più una questione ormonale che politica». Nessuna replica indignata dalla «pantera della Destra», perché se vale, e vale, la regola del «chi non ha peccato scagli la prima pietra», Daniela di sassate non ne può proprio tirare. Quando, in campagna elettorale, Storace la candidò alla presidenza del Consiglio, lei mostrò la sua gratitudine lanciandosi in un panegirico degli attributi di lui: «Le palle non è che bisogna averle di velluto, di cashmere o di seta, bisogna averle e Storace le ha». Erano i tempi della guerra con il Pdl, e a un Silvio Berlusconi che la definì «una bella sberla», l’agguerrita Daniela replicò con eleganza da Billionaire: «Berlusconi? È ossessionato da me, ma tanto non gliela do». Più tardi confessò di non averla data neppure ad altri, si tranquillizzassero pure gli animi bollenti: «Sono felicemente casta da quando non ho più un legame sentimentale», ed era passato più di un anno da quando Canio Mazzaro l’aveva lasciata, perché «sarò antica, ma mio figlio deve essere certo che sua madre ha avuto solo suo padre al fianco. Come potrei portarmi in casa un uomo e poi farlo trovare lì, tra il caffè e la brioche del mattino?».
Chi abbia iniziato non è facile ricostruirlo. Andando a ritroso nelle cronache si ritrova l’alto dibattito parlamentare su quale toilette dovesse usare alla Camera il transgender Vladimir Luxuria, con l’azzurra Elisabetta Gardini a levare vibrante protesta («Devi andare nel bagno degli uomini») e l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti a invocare tolleranza. E ancora il pasticciaccio brutto della notte hard di Cosimo Mele, con Lorenzo Cesa che si spinse in un’ardua riflessione sulla «dura vita» dei parlamentari che vivono a Roma lontani dalle mogli, e propose, salvo poi smentire rimbeccato da Casini, un ricongiungimento familiare a spese dei cittadini. Gli analisti del vocabolario politico però sono divisi. La sinistra incolpa Berlusconi, reo di aver svecchiato il politichese con il gergo calcistico, dalla «discesa in campo» alla «squadra di governo», e se non capite è solo perché non avete studiato i nessi emozionali fra sport e sesso. La destra preferisce ricordare quel dibattito che spaccò l’intellighenzia radical-chic. Era il 2005 e Aldo Nove pubblicò su Liberazione un articolo intitolato: «L’ano fra sesso e rivoluzione».

In un incipit che i detrattori definirono «penetrante», lo scrittore citava il filosofo Luciano Parinetto, «la rivoluzione proletaria passa anche attraverso il buco del culo», prima di lanciarsi in una disamina del rapporto fra analità e capitalismo, chiamando in causa Marx e interrogandosi sull’atteggiamento poco illuminato della sinistra in materia. In fondo, lo disse Antonio Gramsci: «In principio era il verbo. No, in principio era il sesso».

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