da Milano
Va detto subito che lui, Walter Veltroni, li aveva avvertiti: «Sarà una traversata nel deserto». Sì. Solo che è passato un anno e all’orizzonte si vedono sempre e solo cactus. Così, questo sembra un po’ uno di quei compleanni da sciura che ha passato gli anta e c’è poco da festeggiare. Niente allegria e nessun cerino per dar fuoco a tutto quanto canterebbe Claudio Baglioni. Perché la candelina di un anno portato male nessuno ha voglia di spegnerla. Ma persino la rabbia è smunta e c’è rimasto solo Arturo Parisi a sbraitare, in quella «paralisi anche delle passioni» di cui parla il blogger Mario Adinolfi ricordando la fatidica data: due giorni prima la scoperta del Nuovo Mondo, due giorni dopo l’inizio del Mondo Nuovo, era il 14 ottobre 2007 e sulla caravella del Pd saliva Walter Veltroni, «yes we can», incoronato dalle primarie.
A dire il vero, il leader un appuntamento al «popolo democratico» lo ha dato, fra nove giorni tutti in piazza nessuno ha ancora capito per fare che. E il punto è proprio questo. Era partito per fare la guerra, il segretario, c’era l’Italia da salvare dal governo perché «la democrazia è in pericolo». Sono seguiti i sondaggi, più del 60 per cento degli italiani a dire che sì, grazie del pensiero, ma ci sentiamo piuttosto a nostro agio nel «regime». Poi, e questa è sfortuna, sul mondo s’è abbattuta la crisi finanziaria peggiore del secolo, e mezzo Pd ha iniziato a dire che la manifestazione va ripensata, anzi, annullata, oppure no, va fatta, ma a sostegno del governo. Ecco. Una metafora del primo anno di vita del Pd, in fondo, quel perenne tormento sulla direzione da seguire che ha ormai superato persino il feroce «ma anche» di un geniale Maurizio Crozza.
Sono cartoline da uno Stige in perenne piena, ira e accidia. Walter che dal discorso al Lingotto di Torino del giugno 2007 a quello di Spello del febbraio 2008 lentamente uccide l’Unione perché «la Sinistra sa dire solo no e invece noi saremo un grande partito riformista e progressista che sa dire anche sì», ma poi è rimasto solo, accerchiato da chi gli rimprovera di aver fatto cadere il governo Prodi «consegnando il Paese alle destre». Walter che a un certo punto si convince che le elezioni si possono vincere e allora fa finta che Romano non sia mai stato amico suo e si allea con un Antonio Di Pietro che il giorno dopo il voto tradisce il patto e cerca di rubargli il ruolo di guida dell’opposizione. Walter che in campagna elettorale, gasato da un giro in pullman per l’Italia che gli scava occhiaie direttamente proporzionali all’entusiasmo, inanella una serie di dichiarazioni che lette dopo sono un crescendo impietoso di «Ipse dixit»: «Siamo in rimonta: pareggio»; «Ho l’impressione che il Paese darà una sorpresa»; «Io penso che noi vinceremo le elezioni e ogni ora che passa sono sempre più sicuro che vinceremo le elezioni», era l’11 aprile e il 13 il Pd non arrivò neppure a quel 35% che si era dato quale soglia per poter dire, con Flaiano, che «la situazione è grave ma non seria». Poi è arrivata l’ora della schizofrenia sul dialogo. Prima il sì perché «siamo un’opposizione responsabile», poi il no perché sennò Tonino ci ruba la scena, poi di nuovo il sì perché c’è la crisi della Borsa.
Quella del loft, ecco, quella era stata una bella idea. L’assenza di porte a simboleggiare la fine dell’era delle correnti, perché qui non ci saranno guerre intestine e le segrete stanze non servono. Solo che poi non c’erano stanze per tutti i segreti, e il Pd cambiò sede. Perché le correnti ci sono eccome, roba da far invidia alla vecchia litigiosa Dc, visto che ogni esponente, peso piuma o peso massimo non importa, s’è creato un’associazione, un think tank o anche solo un aperitivo fisso al bar, tutti naturalmente al lavoro per «costruire il futuro del Pd», dev’esser che nella nuova sede non c’è uno spazio per parlarne tutti assieme a quattrocchi, ecco.
Oggi comunque una piccola festa si fa. Parte Youdem, la nuova tv democratica. Sarà di tutti, ha detto Veltroni. Così tanto di tutti che trasmetterà pure i contenuti della tv di Massimo D’Alema, così impara a tentare la concorrenza, tiè. Ira e accidia. Si naviga a vista, qui nello Stige.
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