Controcultura

Dall'islam alla patria questa "Commedia" è tutta da censurare

Altro che Charlie Hebdo! La critica più feroce a Maometto è stata prodotta non da vignettisti francesi ma da un poeta italiano, si chiamava Dante Alighieri e scrisse un lungo poema intitolato Divina Commedia

Dall'islam alla patria questa "Commedia" è tutta da censurare

Altro che Charlie Hebdo! La critica più feroce a Maometto è stata prodotta non da vignettisti francesi ma da un poeta italiano, si chiamava Dante Alighieri e scrisse un lungo poema intitolato Divina Commedia che, forse per distrazione, è ancora presente nei programmi scolastici. Per distrazione o totale incomprensione del canto XXVIII dove l'autore getta i «seminator di scandalo e di scisma», tra cui il fondatore della religione islamica, nel fondo della nona bolgia. In versi tra i più sconci e impietosi dell'Inferno il profeta arabo appare «rotto dal mento infin dove si trulla», ossia dove si emettono i peti.

Al confronto appaiono piuttosto rispettose, le caricature che nel 2015 causarono 12 morti nella redazione del settimanale satirico francese (il processo ai complici di quel massacro compiuto in nome di Allah si tiene proprio in questi giorni a Parigi). Il cristianissimo Dante col maomettanissimo Maometto non fa satira, non usa l'ironia, non ricorre a eufemismi e mostrandolo sventrato descrive il «tristo sacco / che merda fa di quel che si trangugia». Molto offensivo! Poco inclusivo! Anche Papa Francesco dovrebbe trovarvi da ridire, lui che ha firmato la Dichiarazione di Abu Dhabi, documento cattolicamente eretico e dunque mondanamente allineato in cui le diverse fedi vengono dichiarate equivalenti. Gesù e Maometto pari sono per l'ineffabile pontefice gesuita che, coi cadaveri di Charlie Hebdo ancora caldi, disse che non si deve ridicolizzare la fede altrui, di qualunque fede si tratti, e che il blasfemo «si aspetti un pugno».

Che cosa dovrebbe aspettarsi ora questo Dante Alighieri?

L'Italia pullula di statue dedicate a un siffatto islamofobo: che farne? Imbrattarle come a Milano è stato imbrattato Montanelli, abbatterle come negli Usa è stato abbattuto Colombo? I nuovi iconoclasti non se ne sono ancora accorti, di un così riprovevole personaggio, ma appena lo faranno sarà a rischio il grande monumento di Trento, simbolo dell'italianità trentina, e quello di Firenze a cui Leopardi dedicò una poesia importante. Alle orecchie contemporanee il suo poema suona insopportabilmente monoculturale, monoetnico. «Diverse lingue, orribili favelle»? Poteva scriverlo solo un reazionario insensibile al fascino del meticciato... Poi se il poeta fosse stato un sincero democratico non avrebbe collocato in Paradiso l'antenato Cacciaguida (un ultrazzista, un suprematista fiorentino), non gli avrebbe fatto da megafono quando dice che «sempre la confusion de le persone, principio fu del mal de la cittade», non gli avrebbe consentito di discriminare perfino gli abitanti di Figline Valdarno, di definire puzzolenti i contadini di Signa. Il trisavolo per giunta fu un crociato: in una Commedia riveduta e corretta, riscritta a misura di sensibilità immigrazionista da un Erri De Luca o da un Franco Arminio, dovrebbe starsene sprofondato nel nono cerchio infernale, assieme a Matteo Salvini e Donald Trump. Aleggia un nuovo Braghettone: come Daniele da Volterra coprì le nudità divenute intollerabili della Cappella Sistina, uno scrittore moralista (i succitati oppure Gianrico Carofiglio) potrebbe coprire i versi capaci di angosciare gli studenti non bianchi. «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / / non donna di province, ma bordello!» sono endecasillabi da cui trasuda imperialismo, colonialismo ante litteram: non posso credere che un simile testo sia ancora insegnato tale e quale, senza omissioni, nelle scuole di conformismo che sono le scuole italiane..

. Oggi la Divina Commedia non si potrebbe più scrivere: fino a quando potremo leggerla?

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