Roma - «Vogliamo passare dallo scalone agli scalini, aumentando gradualmente l’età pensionabile». Così il ministro del Lavoro Cesare Damiano conferma le indiscrezioni di stampa sul «piano pensioni» che il governo si appresterebbe a presentare ai sindacati, all’apertura del tavolo di confronto subito dopo il voto di fiducia (ammesso che sia positivo). A partire dal 1° gennaio 2008, i pensionamenti di anzianità sarebbero possibili a 58 anni d’età e 35 anni di contributi, anziché a sessant’anni, come prevede lo «scalone Maroni». Sarebbero inoltre ridotti i coefficienti di rivalutazione in base ai quali si calcola la pensione. Si tratta di capire, però, se questo piano può fornire gli stessi risparmi dello scalone, 9 miliardi di euro l’anno a regime. Con l’accorpamento di tutti gli enti previdenziali nel «Super Inps» si risparmierebbero, al massimo e in linea teorica, non più di 2 miliardi.
Gli scalini di Damiano. Via lo «scalone», cioè il passaggio da 57 a 60 anni per la pensione d’anzianità, a partire dal prossimo 1 gennaio. Il governo lo vorrebbe sostituire con alcuni «scalini»: 58 anni dal 2008 e successivi aumenti (ma date e particolari restano nella nebbia), favoriti da incentivi. Per i lavori usuranti, rimane l’attuale limite di 57 anni, più i 35 di contributi. Questa la proposta che Damiano intende presentare ai sindacati, con l’obiettivo di alzare gradualmente l’età pensionabile. Di fatto, era la proposta che la Cgil aveva accettato ufficiosamente prima della contestazione a Mirafiori nei confronti del segretario Guglielmo Epifani. Poi il confronto si era irrigidito. Sull’età c’è sempre stata, invece, l’apertura della Cisl.
Il nodo coefficienti. Se sull’età il dialogo è possibile, un altro tassello del piano Damiano è però indigeribile per i sindacati: il taglio (si parla del 6-8%) dei coefficienti di rivalutazione delle pensioni. Il significato di questa misura è evidente: pensioni più basse, soprattutto ai più giovani. Ed è chiaro che da parte del sindacato la risposta sarà un secco «no». Il ministro del Lavoro cerca di addolcire la pillola, escludendo il taglio dei coefficienti per i giovani con carriera «discontinua» e quindi pochi versamenti contributivi. A questi lavoratori «discontinui» lo Stato verserebbe dei contributi figurativi, per aiutarli ad ottenere una pensione dignitosa. «Le pensioni più basse non hanno nulla a che vedere con i coefficienti», spiega Damiano. Basterà questo per tacitare Cgil, Cisl e Uil?
Un po’ di welfare. Nel progetto governativo trovano posto anche misure di tipo sociale: un aumento delle pensioni più basse, da 400 euro mensili in giù (non le minime, però, ma quelle per cui sono stati versati i contributi) e un’indennità di disoccupazione pari a circa il 60% della retribuzione, ma vincolata alla frequenza di corsi di riqualificazione professionale. Misure costose - per le sole pensioni basse si parla di una spesa fra il miliardo e mezzo e i due miliardi di euro - che rischiano di appesantire non poco i conti dello Stato.
Accelera il Super Inps. La questione di fondo resta però aperta: lo «scalone Maroni» genera forti risparmi (9 miliardi di euro a regime), mentre il piano Damiano fa aumentare la spesa previdenziale, soprattutto nell’immediato. «Gli strumenti per modificare lo scalone senza scardinare i conti ci sono», dice il presidente dell’Inps, Gianpaolo Sassi.
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