Dan, il manager della combine globale

Così Goldfinger ha reclutato in tutto il mondo calciatori, tecnici, dirigenti, arbitri. Per corrompere e truccare

Dan, il manager della combine globale

«Goldfinger» è un signore di 47 anni, faccia paciosa e sguardo che guizza. Il suo nome è Eng Tan Seet ma gli amici lo chiamano Dan, è nato e vive a Singapore ma parla quattro lingue, e - per motivi di lavoro - ha imparato anche a masticare un po’ di italiano. Dalle sue parti, a calcio si gioca poco e male. Ma dalla città-stato sulla penisola malese, Dan ha capito in fretta che l’unico business davvero planetario, in questi tempi grami, è l’industria pallonara, con tutto il ricco indotto che si porta appresso. Nessuno sa come Dan abbia allargato il suo impero. Ma il suo potere si è esteso come una chiazza d’olio sulla cartina della Fifa. Dovunque si giochi a pallone, gli uomini di Dan hanno reclutato: calciatori, tecnici, dirigenti, arbitri. Hanno corrotto e truccato. Hanno pagato bene, e in contanti. Quando è stato strettamente necessario, hanno saputo far paura.
Oggi l’impero di Dan è in grado di combinare partite dei tre continenti dove si gioca davvero a calcio. In Europa, in Sudamerica, in Africa l’«Associazione» - come Dan ama chiamare l’organizzazione da lui creata, che ha come ragione ufficiale «Exclusive Sports» - ha spartito il territorio assegnando ad ogni zona i suoi fiduciari locali. Wilson Ray Perumal, l’uomo di Dan che oggi collabora con gli inquirenti, aveva avuto in gestione i campionati dell’emisfero sud. In Italia operavano gli «zingari» - che in realtà zingari non erano affatto, ma croati e serbi - che avevano arruolato Beppe Signori e Cristiano Doni.
In Germania e nel nord Europa per conto della «Exclusive Sports» di Dan operano gli slavi, e tra il 2009 e il 2010 sono riusciti a truccare la bellezza di trecento partite. Anche tra questi c’è un «pentito», oggi detenuto in Germania: Marijo Cvrtak, condannato a cinque anni di carcere in Renania, ha raccontato con ampiezza di dettagli il ruolo di Dan, «il cinese»: «Io voglio precisare che quando parlo di un cinese, io intendo un asiatico, la nazionalità esatta della persona “Dan” non mi è nota. Io non ho mai visto “Dan”, io lo conosco soltanto per averne sentito parlare». Del campionato italiano, Cvrtak dice di non essersi mai occupato, ma ha ugualmente aperto una finestra sugli affari dell’Associazione dalle nostre parti: «Dai miei contatti olandesi sapevo soltanto che a Napoli ci sono dei cinesi asiatici che fanno scommesse. Questo l'ho appreso da Paul Rooij dell'Olanda. Lui mi disse, quando uno vinceva, poteva andare a Napoli, per potere lì direttamente ritirare i soldi. Quando ero insieme con lui, spesso ho sentito che lui faceva delle telefonate con Napoli».
Cvrtak ha spiegando uno dei meccanismi con cui «Goldfinger» allarga il giro dei reclutati e dei complici: raccogliendo scommesse a credito, lasciando che i clienti si indebitino fino a non poter fare fronte ai pagamenti, e a quel punto costringendoli a scendere a patti. Questa tattica - racconta Cvrtak - ha permesso per esempio a Dan di arruolare il presidente dell’Istanbulspoor, «Hamdo» Samsackli, e attraverso di lui arrivare a giocatori del campionato svizzero e utilizzarli per truccare le partite anche lì.
Il quartier generale di Dan è in patria, a Singapore, dove il suo mestiere è quasi legale. Dalla sua casa nel Riversale Crest, un condominio di lusso nel quartiere di Sengkang, il manager globalizzato Dan tiene sotto controllo sui suoi computer le partite di tutto il mondo. Non si pone limiti: dalle serie minori alle squadre nazionali tutto può entrare nel grande giro delle scommesse a colpo sicuro. Ibrahim Chiabou, arbitro nigeriano al soldo di Dan, trucca in modo plateale due amichevoli, Nigeria-Argentina e Bahrein-Togo. Nel giugno 2011, in territorio ungherese, arrestano otto ex calciatori ed arbitri, che avevano truccato Argentina-Bolivia, Estonia-Bulgaria e Lituania-Bolivia, tutte dirette da arbitri ungheresi: dietro, ovviamente, c’erano anche lì gli uomini di «Goldfinger».
Dan non se ne sta chiuso in ufficio a Singapore. Sa che il suo lavoro è fatto anche di fiducia, di contatti diretti, di controllo. Quando può manda in giro i suoi fedelissimi, come quel Huat Choo Beng che alla Malpensa venne pedinato e fotografato durante le indagini, e che secondo la poliza scarrozzava trolley pieni di contanti.

Ma quando deve, Dan viene di persona. Al Crown Hotel di Malpensa era quasi di casa: diciotto volte negli ultimi quattro anni, quasi sempre con la sua corte di croati e tagiki, sloveni e filippini, bulgari e turchi. E «Goldfinger» pagava sempre in contanti.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica