Marco Ferrera
Milano-Sanremo: una storia ormai lunga quasi un secolo, nata nel 1907 con la vittoria di un certo Lucien Mazan, un francese, che si inventò uno pseudonimo, Petit Breton, affinché il padre, che non gradiva la sua passione per il «velò», non venisse a sapere dei suoi successi. Che bella, la Milano-Sanremo, e che bella la settimana che la precedeva, ad aspettare quel giorno, che era sempre un giorno di festa, perché si correva il giorno di San Giuseppe, il 19 marzo. I ricordi di bambino tornano a quelle giornate, all'attesa del passaggio di quella striscia colorata, una lunga attesa che svaniva in un attimo, specialmente se attendevi il passaggio in fondo alla discesa del Turchino, quando i corridori si lasciavano alle spalle la pianura, con le sue brume e le sue nebbie ed arrivavano in un altro mondo, quello inondato dal sole e dalla luce di Liguria, con il giallo delle mimose, il verde degli agavi, il rosa dei primi alberi in fiore e l'azzurro del mare, quell'azzurro che alle porte della primavera tende ancora al blu, quel mare che accompagnerà la carovana fino al Poggio, trampolino di lancio su Sanremo e sulla mitica Via Roma, con quelle fontane caratteristiche a salutare l'epilogo di ogni edizione. Ed una volta sfilati i campioni, in quel gruppo in cui cercavi di scorgere per un attimo fuggente la sagoma di un campione, la corsa verso casa, a seguire le fasi finali in televisione, dove ti attendevano i «friscieu», le frittelle, con le erbette, con la «luganega», con l'uvetta, tipici di quella giornata che profumava di primavera, di cose buone e di
bicicletta!
Ma di tante edizioni della «classicissima» quella che resterà per sempre impressa nella nostra memoria è quella del 1970, quando dopo diciassette anni di attesa un italiano salì finalmente sul gradino più alto: il suo nome era Michele Dancelli, un allora ventottenne della bassa bresciana, di Castenedolo per la precisione, già protagonista di importanti successi, con la perla della Freccia Vallone del 1966 e che in Liguria vinceva spesso e volentieri, con le tre vittorie consecutive nel Giro dell'Appennino, dal '65 al '67 e campione d'Italia nel 1965 e nel 1966.
«È stato il momento più bello della mia carriera!» ci dice l'antico campione, che abbiamo rintracciato telefonicamente nella sua casa di Castenedolo. Il nostro ricordo indelebile di quella giornata si conclude con le sue lacrime così sincere e copiose, intervistato sul palco dal compianto Adriano De Zan, la «voce» del ciclismo italiano.
«Non ero il solo a piangere di gioia su quel palco - ricorda Dancelli - erano ben diciassette anni che un italiano non riusciva ad imporsi a Sanremo, l'ultimo era stato Petrucci nel 1953. A differenza di quanto avviene nella maggior parte delle corse odierne, quella vittoria nacque alle porte di Novi Ligure, quando il traguardo era lontanissimo. Andammo in fuga in una quindicina, un gruppetto formato da tanti pretendenti alla vittoria, tra cui Vittorio Adorni, ma dal quale mancavano Eddy Merckx, (soprannominato "il cannibale", capace di aggiudicarsi sette Sanremo in carriera, record tuttoria imbattuto) e Felice Gimondi, i due più forti del lotto. In quel gruppetto c'era anche il povero Carletto Chiappano, mio compagno di squadra nella Molteni, scomparso prematuramente in un incidente stradale nell'81: lui era di Varzi, un paese del piacentino, quello famoso per il salame, e quindi era partito nella fuga giusta sulle strade vicine a casa sua. Era l'unico a tirare, in quel gruppetto c'erano anche corridori molto forti in volata, come Roger De Vlaeminck e suo fratello Eric. Nessuno voleva collaborare - ricorda con grande passione l'asso di Carpenedolo - e subito dopo Loano, approfittando di un piccolo strappetto, partii a tutta birra, pigiando sui pedali e quando mi voltai mi accorsi di aver fatto il vuoto. Il traguardo era ancora lontano però mi sentivo molto bene e capivo di poter compiere l'impresa che l'Italia ciclistica, e non solo quella, attendeva da troppo tempo: ci fu un momento in cui Roger De Vlaeminck si avvicinò ad una quindicina di secondi ma non mollai quel piccolo vantaggio, volai sul Poggio, anche se non ero propriamente uno scalatore, e la picchiata su Sanremo fu una passerella trionfale, tra due ali di folla pazza di gioia, che mi accolse con un boato all'ingresso di Via Roma!».
E quando le telecamere fisse della Rai inquadrarono quelle fontane e sul teleschermo si vide là in fondo la sagoma di un uomo solo al comando «Michele Dancelli vince diciassette anni dopo Loretto Petrucci la Milano-Sanremo!» urlò con la voce rotta dalla commozione Adriano De Zan e fissò una delle pagine più belle, sicuramente la più emozionante per chi scrive, nella storia della classicissima di primavera, grazie a Michele Dancelli, questo campione del ciclismo degli anni sessanta e settanta, che chiuse la carriera nel 1973 per un brutto incidente alla Tirreno-Adriatico, che ci ha fatto rivivere, tornando indietro nel tempo, quel bellissimo 19 marzo 1970, una giornata che rimarrà indelebile per il ciclismo italiano e per noi, allora piccoli tifosi di uno sport unico nel regalare certi momenti di felicità e di partecipazione popolare.
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