Errore su errore a danno, naturalmente, del Paese. La decisione dellUnipol di vendere ai francesi della Bnp-Paribas il 36 per cento del capitale della Banca nazionale del lavoro detenuto dai dieci azionisti di controllo è, infatti, un errore per lItalia e per la stessa Unipol. Noi che siamo stati critici sullOpa degli spagnoli della Bbva e difendevamo quel valore dellitalianità e della reciprocità che gli snob della politica e delleconomia deridono (parleremo quanto prima anche di loro), non possiamo che essere altrettanto critici se a comprare sono i francesi. Dovremmo concludere amaramente che i nostri capitani dindustria come Diego Della Valle e Luigi Abete che hanno fatto pressioni inaudite su tutti perché fossero gli spagnoli a comprare, sono andati per bastonare e sono rimasti bastonati. Non lo diciamo innanzitutto perché la cosa non ci fa piacere e poi perché non è detto che lintreccio finanziario di questo Paese, che passa attraverso Guido Rossi, la Procura di Milano, le grandi banche, Mario Draghi, non abbia garantito alla simpatica coppia italiana un qualche spazio di gestione. E tanto per essere precisi dovremmo ricordare anche allonorevole Tabacci - che qualche giorno fa a Ballarò disse che a lui interessavano solo i risparmiatori e che se tenere un conto corrente presso la Bnl costava il doppio di quanto costava al Banco de Bilbao, viva gli spagnoli e fuori gli italiani - che la Bnl è da oltre quattro anni gestita proprio dagli spagnoli e dal loro presidente, al secolo, Luigi Abete.
Ma torniamo alle cose serie. Questa vicenda della Bnl altro non è che una ulteriore sconfitta del capitalismo italiano. È mai possibile, infatti, che il buon Diego Della Valle e il sorridente Luigi Abete non abbiano avuto la capacità di fare una cordata italiana tra banche e imprenditori per rilevare la Bnl? In Germania, in Francia e in tantissimi altri Paesi europei tutto questo non sarebbe accaduto (lo riprova tra laltro proprio lacquisto di Paribas da parte della Bnp qualche anno fa) perché in quei Paesi il capitalismo nazionale non è afflitto da un salotto definito buono e che invece è indebitato fino al collo. Da noi, infatti, quel salotto buono si preoccupa prevalentemente dei giornali e del loro controllo e molto poco di ricerca, di innovazione, di crescita e di internazionalizzazione delleconomia del Paese. Ecco perché la decisione dellUnipol di vendere ai francesi, piaccia o non piaccia, è unulteriore dimostrazione della fragilità del nostro capitalismo. A cominciare, naturalmente, dalla stessa Unipol che ha visto negarsi dalla nuova Banca dItalia (vedremo, poi, da vicino le ragioni di questo diniego) quellOpa che la Consob invece gli aveva imposto. Una volta caduto lobbligo dellOpa, però, lUnipol rimaneva pur sempre lazionista di riferimento della Banca nazionale del lavoro insieme al blocco delle varie cooperative. Una posizione di tutto rilievo, dunque, che gli avrebbe potuto consentire una intesa proficua con gli spagnoli guidando così da un lato la banca sviluppandone le potenzialità, e dallaltro attivando quel progetto industriale di «bancassurance» che era alla base della sua iniziativa.
Abbandonare, invece, precipitosamente quel progetto industriale ritenuto valido da tutti, comprese le autorità di controllo, è stata la testimonianza della fragilità dello stesso mondo cooperativo messo tra laltro in ginocchio dal balbettio del loro partito di riferimento, i Democratici di sinistra, che prima ne ha sponsorizzato liniziativa, e poi si è impaurito. Come si vede, un disastro politico ed economico dellintero centrosinistra cui fanno chiaramente riferimento i protagonisti sia di quel salotto buono del capitalismo italiano sia del mondo della cooperazione.
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