Milano«È un processo inutile che a febbraio sarà già prescritto. Qualunque altro processo sarebbe stato sospeso per motivi di economia processuale. Invece siamo qui tutti a perdere tempo: una parte pagati da me, una parte pagati dai contribuenti»: era il 28 novembre scorso, e Silvio Berlusconi sembrava sapere già come sarebbe andata a finire. A margine di una delle udienze cui aveva scelto di essere presente («ho fatto fatica a non addormentarmi»), il Cavaliere aveva rilanciato la sua polemica contro laccanimento dei giudici e della Procura milanese, cui contestava di investire risorse a profusione in una impresa senza senso.
Che portare a sentenza il processo prima dellestinzione del reato fosse unimpresa quasi disperata, lo sapeva anche la Procura della Repubblica. Colpa, in primo luogo, del troppo tempo trascorso tra lepoca del presunto reato e il primo spunto investigativo: luglio 2004, quando Mills, in un drammatico faccia a faccia con i pm De Pasquale e Robledo, accusa Berlusconi di avergli fatto avere un cadeau di seicentomila dollari. Per cercare di tenere a galla il processo, la Procura ha dovuto spostare sempre più avanti la data del delitto. Mentre in genere i reati di corruzione si considerano commessi quando viene accettata la promessa del conquibus, in questo caso De Pasquale, modificando il capo di imputazione nel corso del processo, lo ha portato fino al 29 febbraio 2000, quando - secondo la sua ricostruzione - lavvocato inglese sposta dal suo conto i soldi provenienti dal gruppo del Biscione.
Ma anche questo rischiava di non essere sufficiente, anche perché nel frattempo la Cassazione aveva riportato indietro le lancette dellorologio, fissando al novembre 1999 la data del reato. Così De Pasquale ha dovuto inerpicarsi in unaltra impresa algebrico-giudiziaria, analizzando una per una le pause del processo dovute agli impegni del premier e alle decisioni della Corte Costituzionale. In questultimo caso, ha sostenuto, la prescrizione si congela fino a quando il processo non riparte davvero. Ma il tribunale ieri probabilmente gli dà torto anche su questo punto, anche perché una sentenza della Cassazione del maggio 1976, mai smentita, dice lesatto contrario.
Vista la difficoltà di allungare il tempo a disposizione, De Pasquale è dovuto intervenire, per tenere a galla il caso Mills, cercando di asciugare il più possibile la durata del processo. Agli inizi, a dire il vero, il tribunale gli aveva messo i bastoni tra le ruote, autorizzando una lunga lista di testimoni delle difese e consentendo a Niccolò Ghedini e Piero Longo di riconvocare in aula i testimoni dellaccusa in udienze diverse. Il pubblico ministero era andato su tutte le furie. E aveva convinto i giudici a ritornare sui loro passi, cancellando bruscamente la quasi totalità dei testimoni indicati da Ghedini e Longo. A insorgere, a quel punto, erano stati i legali del premier, accusando il tribunale di calpestare i diritti della difesa.
Sono i giorni cruciali tra il 20 e il 27 gennaio scorso, quando per la prima volta nel corso del affare Mills il collegio difensivo del premier appare rassegnato allineluttabile: Ghedini e Longo si sentono stretti in una tenaglia tra accusa e tribunale, hanno la sensazione che si voglia arrivare a una sentenza di condanna a tutti i costi. Nasce così lultima mossa della difesa, listanza di ricusazione contro i tre giudici firmata da Berlusconi il 27 gennaio che accusa la Vitale e le sue colleghe di «convincimento colpevolista». È la mossa della disperazione, i due avvocati sanno perfettamente che listanza non ha alcuna possibilità concreta di essere accolta.
E infatti mercoledì scorso la Corte dappello milanese boccia listanza. Ma nel frattempo in aula, bruscamente come si erano accelerati, i ritmi si sono acquietati.
La data spostata in avanti e mille cavilli: quanti trucchi per mantenere il processo
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