Davanti al piccolo schermo

I primi minuti sono stati simili a quelli delle fasi iniziali di una partita di football, quando gli allenatori osservano e non sbraitano, i calciatori si guardano negli occhi, si studiano, aspettano lo sviluppo delle azioni per capire, non partono all’attacco per non scoprirsi e subire il gol in contropiede.
È incominciata la partita vera. Dopo il silenzio sono tornati tutti, da destra a sinistra, passando per il centro, usciti dalla prigione del black out, tutti come prima, più di prima, pronti allo slogan: se la squadra del vostro cuore ha vinto festeggiate con il governo, se ha perso consolatevi con l’opposizione, se ha pareggiato fate quello che vi pare.
È toccato al ministro Maroni aprire le danze. Ha annunciato il numero dei votanti e degli astenuti ma su Rai 1 sembrava che il cameraman fosse posizionato alla periferia di Roma, fuori dal Viminale, l’immagine del ministro era lontanissima, si scorgevano, al suo fianco, un carabiniere e una femmina di bianco vestita. La sonnolenza postprandiale può provocare questo tipo di sbandamenti (tele)visivi. Poi è incominciato il carnevale, studi già affollati di opinionisti e politici, per fortuna nessuna soubrette, nemmeno l’ombra di uno psicologo o di un cantante ma tutta roba fatta in casa, cioè in Parlamento.
Francesco Giorgino si è presentato, sulla rete 1, tenendo in una mano l’occhiale con montatura leggerissima, molto professorale, sperando che il pomeriggio fosse da messa cantata; invece, da lì a poco, Buttiglione e La Russa sarebbero andati ai materassi, con il solito repertorio nostrano, tra accuse, allusioni, illusioni, crocefissi e saluti romani, Rocco attaccava e Ignazio ribatteva, divisi, nella posizione delle sedie, da Fassino e da Leoluca Orlando il quale, a un certo punto, ha pure messo in dubbio l’onore degli uddiccì provocando l’immediata reazione orgogliosa del filosofo gallipolino, mentre il Giorgino di cui sopra forse rimpiangeva il dopofestival dei tempi belli.
In contemporanea l’inquietante, per bellezza, Bianca Berlinguer, su Rai 3, si è mostrata con abbigliamento imprevisto ma consona all’ora del the senza cornetto: camicia in voile di seta nera, con maniche trasparenti, jeans fasciante e a zampa d’elefante, roba da favolosi anni Settanta, solita compagnia di giro con la Bindi Rosy dotata di quadernuccio e Quagliariello Gaetano dotato di memoria e basta, consueto balletto di parole, di opinioni, tra critiche, accuse, paragoni, paralleli, rimembranze, tutto mascherato dal burqa della cautela, meglio non sbilanciarsi troppo.
Su Sky tg24 scenario tra l’hard e l’ infernale, onde di rosso fuoco alle spalle dei tre ospiti parlanti e a tenere il coretto, in piedi, una biondissima di capelli e nerissima di abito, la piemontese Sara Varetto. Emilio Fede, dopo un breve riscaldamento in camicia scura su Rete 4, ha vestito gli abiti canonici, camicia bianca e cravatta blu, quando è arrivata l’ora più giusta. Lilly Gruber ha allestito lo show su La7 con gli stessi attori degli altri circuiti, cambiando l’ordine degli studi non è cambiato il prodotto, semmai il conduttore, alla faccia del “regime” e la Gruber ha lasciato, a sera, il posto al Piroso Antonello da Como, in camicia bianca e cravatta ma senza giacca, tanto per fare un po’ l’opinion maker da film made in Usa ma venuto da quel ramo del lago.
Esaurito il primo tempo, senza il risultato definitivo ma con qualche indicazione interessante tra proiezioni, percentuali di astensione, varie ed eventuali, Rai, Sky, Mediaset si sono concesse un momento di distrazione in attesa dell’abbuffata: un’«isola dei famosi», un’«eredità», un «chi vuol essere milionario», titoli a prescindere che, però, sembravano confezionati meravigliosamente per i protagonisti della giornata. Finita l’ora d’aria, smaltita la cena, si poteva scegliere tra Mina e la De Filippi ma le note di Via col Vento hanno suonato l’allarme: era Bruno Vespa, era il suo Porta a Porta. E così è stato. Bondi-Bindi, nulla di nuovo a parte la pettinatura sgarbiana, cribbio, della presidentessa del Piddì che si acconcia i capelli prima della presentazione, con i due oppositori ecco Donadi-Cesa, note a margine, Vespa prima con la bacchetta tra le mani, poi con la cartina geopolitica, a colori, alle spalle. Lentamente sono spuntati sul video i volti dei vincitori, Vendola prima e Zaia dopo, mentre la Bindi cercava di capire le cose che Bondi annunciava e Bondi ribadiva le cose che la Bindi non capiva, un dialogo perfetto tra chi è al governo e chi dalla parte opposta, con una sentenza definitiva della signora Maria Rosa, in arte Rosy, con un sorriso che era una smorfia nervosa, alle ore ventuno e quarantacinque: «Da stasera è aperta la crisi».


Ci vorrebbe la prova tivvù, per capire effettivamente chi ha vinto e chi ha perso, perché, nonostante l’ora, il procedere dello spoglio, le indicazioni ormai sul quasi certo, non c’era uno che ammettesse la sconfitta ma tutti erano pronti a confermare la vittoria, secondo usi e costumi nostrani, riaprendo la campagna elettorale, riattaccando il disco che si era fermato per un mese, in un Paese nel quale i politici hanno il bavaglio. Fino a quando non si accende la luce rossa delle telecamere e parte la sigla. Via col Vento, appunto.

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