Davide Tieghi
Il sogno della sua vita l'aveva coronato nel 2001, quando aveva potuto inginocchiarsi sul Centre Court di Wimbledon, tra le lacrime, per gridare al mondo la sua gioia. A volte, però, i sogni si ripresentano e, a distanza di poco più di un anno dall'aver appeso la racchetta al chiodo, Goran Ivanisevic a 34 anni può sperare di realizzare un altro sogno, quello di vincere la sua prima storica finale di Coppa Davis. Nikki Pilic, coach della Croazia, ha deciso: il funambolico giocatore di Spalato sarà il quarto convocato per la finalissima di Bratislava.
Ricorda quell'ultima volta in cui calcò un campo da tennis?
«E come faccio a dimenticare quel giorno? Era l'edizione di Wimbledon dell'anno scorso e, dopo aver superato due turni, mi trovai di fronte Lleyton Hewitt, uno che non ti regala nulla. Sapevo che avevo poche chances, ma cercai di giocare al massimo. Alla fine fu più "doloroso" l'abbraccio della folla che la sconfitta in se stessa. Ripensandoci mi viene ancora la pelle d'oca».
E nel frattempo?
«Diciamo che mi sono goduto la vita. Ho voluto stare il più possibile accanto a mia moglie Tatjana e alla piccola Amber Maria, tenendomi in forma con un po' di calcetto e tennis, in compagnia del mio amico Zvone Boban. Dopodiché ho deciso di continuare a giocare nel Senior Tour, il circuito riservato agli ex campioni: girare il mondo con certi personaggi, è stata una delle esperienze più esilaranti che mi siano capitate. Sfido chiunque ad andare a cena con McEnroe, senza uscire dal ristorante ridendo a crepapelle».
Lei esce da una generazione dove Sampras la faceva da padrone; oggi Federer può vincere quanto lui?
«Che giocatori! Roger ha più talento rispetto a Pete, lo definirei un artista. Attenzione, con questo non voglio togliere nulla a Sampras, un Robocop della racchetta. Non so, però, se riuscirà a vincere quanto l'americano».
Appartenere alla categoria di giocatori definiti «genio e sregolatezza», quanto ha influito nella sua carriera?
«Non si può cambiare il carattere di una persona. Per una parte della mia carriera ho giocato contro me stesso, non avevo capito che per vincere le partite dovevo sfruttare i momenti decisivi. Sono sempre stato un istintivo, se dovevo dire o fare una cosa non mi fermavo davanti a nulla. Ho perso il conto delle multe che ho preso, ma soprattutto il numero di racchette che ho distrutto. Ricordo che a Brighton dovetti ritirarmi perché avevo finito tutte le racchette. Rotte».
Parliamo della Coppa Davis. Allora tutto è deciso, lei sarà il quarto croato nella finale di Bratislava.
«È stato un attestato di grande stima e fiducia da parte dei ragazzi. Dopo la semifinale di Spalato con la Russia, mi hanno chiesto se sarei stato disponibile a condividere con loro quel sogno. Non li ringrazierò mai abbastanza, compreso capitan Pilic. Dopo la vittoria di Wimbledon e la nascita di Amber Maria, pensavo di aver esaurito il mio bonus di sogni da realizzare. Poi, ad un tratto, la vita mi ha regalato un'altra possibilità, un altro desiderio da materializzare. Nella mia follia direi che pagherei oro pur di giocare e portare a casa un punto per il mio Paese».
Da vice capitano, ci presenta la sua squadra?
«Cominciamo da Ljubicic, che voi italiani dovreste ben conoscere visto che è allenato da coach Riccardo Piatti. Ivan ha giocato in assoluto la sua miglior stagione. C'è poi Mario Ancic, 21º giocatore del mondo. Infine Ivo Karlovic, giocatore in forte ascesa, attualmente al numero 59 della classifica e finalista al Queen's e a Surbiton. La caratteristica comune di questa squadra, dal punto di vista tecnico, è il servizio, un'arma che dovremo sfruttare al massimo».
E gli avversari?
«Grande rispetto per la Slovacchia. Chi arriva in finale ha sempre ragione. Hrbaty, Beck e Kucera sono giocatori esperti, per cui dovranno essere affrontati con la massima concentrazione. Se poi aggiungiamo che il loro capitano è un certo Miloslav Mecir...».
Ultimamente si è parlato molto di doping nel tennis.
«Il doping nel tennis esiste eccome. Mi sembra che negli ultimi anni i giocatori coinvolti non siano stati dei signori nessuno. È dura rimanere in forma per undici mesi all'anno, i ritmi sono sempre più frenetici. Diciamola tutta, qualcuno ha voluto fare il furbo, trovare una scorciatoia per ottenere certi risultati. Servirebbero controlli più severi, ma soprattutto più rispetto per se stessi».
Mister Ivanisevic, lei com'è da papà? Non riusciamo a immaginarla.
«Sono un padre molto premuroso, che s'illumina quando vede il sorriso di sua figlia e che quando si separa da lei soffre tremendamente. È un ruolo assai difficile, forse il più complicato del mondo. Ma è anche il più bello».
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