Dc e comunisti, tacito accordo nel segno delle risorse illecite

Entrambi avevano interesse a nascondere le rispettive «zone d’ombra»: il controllo del settore pubblico e il sostegno da Mosca

Si può tentare di trovare una spiegazione in un doppio ordine di ragioni, l’una di tipo politico-pratico e l’altra teorico-culturale. Mantenere il finanziamento della politica in una zona d’ombra ha fatto comodo a entrambe le forze dominanti - la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista - pur se per diverse motivazioni. La Dc, che all’origine viveva a ridosso delle organizzazioni cattoliche, man mano che si liberava dalla loro sudditanza nella seconda metà degli anni Cinquanta, costruì un sistema di potere fondato sul settore pubblico da cui attingeva risorse finanziarie con sempre maggiore larghezza.
Per questo motivo i democristiani non avevano alcun interesse a costruire un chiaro sistema di finanziamento della politica fondato sull’esplicito ma regolato sostegno delle forze economiche. A ragione ritenevano, dati i rapporti di forza nell’economia pubblica, che sarebbero stati favoriti dalla mancanza di trasparenza sia nel condizionare gli alleati minori che nel porre in condizioni di inferiorità l’avversario comunista.
Analoghi presupposti animavano i comunisti che si preoccupavano di tenere al riparo da ogni controllo le loro finanze ambigue e in un certo senso privilegiate, anche se in maniera diversa rispetto a quelle democristiane. La loro forza consisteva nell’essere parte di un movimento internazionale con la centrale nell’Urss, che riforniva anche finanziariamente i partiti satelliti.
Un tale collegamento finanziario sarebbe divenuto più problematico il giorno in cui le finanze dei partiti fossero emerse dall’ombra. Non è un mistero che per anni vi fosse una specie di gioco delle parti tra Dc e Pci: i democristiani conoscevano perfettamente le vie illegali di finanziamento del Pci, sia con i soldi di Mosca che con altri traffici illegali nazionali e internazionali, e i comunisti tolleravano l’uso truffaldino delle leve del sottogoverno da parte della Dc.
Gli uni e gli altri avevano però l’interesse a mantenere uno stato di reciproca omertà, quasi si trattasse di un precario equilibrio del terrore. Di modo che, quando i socialisti con Craxi vollero competere autonomamente con Dc e Pci, non seppero fare altro che adeguarsi alla logica del potere attraverso il denaro illegale che era divenuto un carattere permanente del modus vivendi di democristiani e comunisti. Ma, come tutti gli epigoni di sciagurate operazioni, i1 Psi ne rimase per primo e più degli altri travolto.
L’altro motivo del tabù, quello culturale, è ancora più significativo per comprendere la grande rimozione. Sia per i cattolici che per i comunisti il capitalismo fondato sulla difesa esplicita di interessi economici nell’ambito del libero mercato è sempre stato un orizzonte ostico di difficile accettazione anche nei rapporti con la politica. In questa ottica il denaro è, sì, considerato una cosa utile, ma è preferibile che sia trattato sottobanco come si conviene con lo «sterco del demonio». Perciò entrambe le subculture dominanti sulla scena italiana non hanno mai accettato fino in fondo che gli individui e i gruppi di interesse potessero sostenere apertamente, anche con il proprio denaro, determinate idee e posizioni presenti sul mercato politico. Non hanno mai ritenuto legittimo e opportuno che gruppi economici e sociali, civili e culturali, professionali e sindacali, si organizzassero indipendentemente dallo Stato per sostenere finanziariamente sulla scena elettorale candidati e movimenti congeniali alle loro idee e ai loro interessi fuori dalla mediazione partitica.
L’assenza di una cultura liberale è una delle cause profonde del tabù che ha ostacolato l’aperta analisi del costo della democrazia.

La classe dirigente politica, in sintonia con il comune sentire, non è stata abituata a sviluppare autonome iniziative sul piano civico, sociale e finanziario, ma ha fatto sempre ricorso allo Stato oppure agli imbrogli. Questa carenza di spirito liberale persiste ingloriosamente anche dopo la crisi degli anni Novanta, malgrado tutti si dichiarino a parole liberali.

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