«Il ddl sicurezza? L’ho approvato senza riserve»

RomaFurioso con Di Pietro, che vuole veder «roteare le scimitarre». Arrabbiato nero con quel «fiero guerriero» che dovrebbe rileggersi la Carta. Ma Tonino, forse, chissà, avrà presto un altro dispiacere dal Colle. Già non ha digerito il via libera al pacchetto sicurezza, che, spiega Giorgio Napolitano «è una promulgazione a tutti gli effetti e non con riserva, istituto inesistente». Figuriamoci quanto gli resterà sullo stomaco, a settembre, la probabile firma presidenziale sotto la riforma delle intercettazioni.
Eh sì, perché al di là della prudenza di rito e dell’occasione formale, è proprio questa la novità che si deduce leggendo in controluce il discorso del capo dello Stato durante la cerimonia del Ventaglio. Fatto salvo, dice infatti Napolitano, «il ruolo della stampa come fattore di libertà di pensiero e di democrazia», bisogna ammettere «che un problema di revisione di regole e di comportamenti in materia di intercettazioni esiste». Del resto, lo riconoscono gli stessi rappresentanti dei giornalisti ricevuti nel Salone delle feste per i saluti estivi, che chiedono garanzie in vista della riforma. Il presidente fa suo soltanto «il riconoscimento che eccessi e forzature in passato ci sono stati e che esistono aree di comprensibile riservatezza dell’indagine giudiziaria» e lo considera una buona base di partenza «per cercare soluzioni appropriate e il più possibile condivise». Certo, il testo originale del governo andrà smussato, corretto, alleggerito. Per questo, aggiunge, «è stato opportuno lo slittamento delle votazioni in Parlamento» sperando che dopo l’estate si smorzino «le divergenze e gli acuti contrasti». Però qualcosa va fatto: «Occorre spirito di apertura e senso della misura da parte di tutti i soggetti interessati. Serve una matura concezione del diritto di cronaca, contemperabile con il rispetto dei diritti e della dignità della persone. Ciò significa anche impegno a non spettacolarizzare i processi. Sarà questo uno dei banchi di prova di quel necessario confronto più civile e costruttivo tra maggioranza e opposizione».
Lo spirito dell’Aquila? No, basta con gli appelli alla tregua, «io mi limito a richiamare problemi, a cominciare dalle riforme, e a porre esigenze largamente diffuse tra gli italiani», lasciando poi «alle forze politiche l’onere delle risposte». Vale anche per le leggi che arrivano sul Colle per la firma. Sulle intercettazioni deciderà «con equilibrio», sulla sicurezza ha scelto «una promulgazione piena» accompagnata da una lettera di osservazioni tecniche. Ci sono state critiche e polemiche. Il capo dello Stato apprezza «lo spirito di riflessione con cui è stata accolta dal governo» e «presta attenzione a tutte le riserve, anche quelle aggressive», ma ricorda che «il mio mandato consiste nel rispettare e far vivere la Costituzione».
E qui esplode la rabbia fredda del presidente. Di Pietro, dice, si metta il cuore in pace e ripassi i testi di educazione civica che si insegna alle medie: «A qualche fiero guerriero sembra che io lo faccia con la piuma d’oca. Sempre meglio, si potrebbe dire, che un vano rotear di scimitarra. Chi invoca poi polemicamente e di continuo, poteri e perfino dovere di intervento che io non ho, mostra di non aver compreso che questa non è una Repubblica presidenziale».
Però il capo dello Stato non è un semplice notaio. «Ciascun presidente - ricorda Napolitano - ha esercitato il suo mandato contribuendo ad animare una prassi costituzionale non racchiudibile in schemi precostituiti. Naturalmente ognuno si è assunto le proprie responsabilità e io mi assumo le mie». Lo ha fatto, insiste, proprio con quella lettera di accompagnamento al pacchetto sicurezza «che contiene numerose, puntuali valutazioni critiche, senza peraltro intervenire sull’indirizzo politico e sui contenuti della legge».

E sbaglia chi, come Marcello Pera, ha dichiarato che il presidente non può rivolgersi ai ministri: «Tale strada è stata imboccata diverse volte in passato, i precedenti sono numerosi. Si può consigliare la lettura dell’aureo libro di Luigi Einaudi, Lo scrittoio del presidente, che comprende le lettere inviate da quest’ultimo al ministro del Tesoro».

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