Roma

Da De André a De André: Cristiano ricorda «Faber» tra canzoni e aneddoti

De André lo hanno cantato tutti. Negli ultimi dieci anni chiunque, a torto o a ragione, si è sentito in dovere di mettere in piedi il suo personale omaggio a «Faber». Forse stanco di tanto chiasso, è sceso in campo anche Cristiano De André. Alla soglia dei 50 anni e dopo un lungo periodo buio in cui aveva fatto perdere le sue tracce, ha deciso di confrontarsi con l’ingombrante figura del padre e di tornare alla musica, costruendo lo spettacolo «De André canta De André». Stasera lo presenterà a Palestrina, in piazza Santa Maria degli Angeli (ingresso gratuito). Due ore di musica in cui alle canzoni si affiancano aneddoti sul rapporto tra Cristiano e Fabrizio: racconti legati alla stesura notturna a quattro mani di «Cose che dimentico» o all’ostinazione di De André senior nel voler far crescere i peperoni nella sua tenuta ligure. Di musica, ovviamente, ce n’è tanta: Cristiano interpreta il miglior repertorio del padre, pescando nel suo soltanto per riproporre «Dietro la porta», ottimo brano presentato a Sanremo ’93. Scorrono canzoni dell’ultimo periodo, quello legato alle collaborazioni di Fabrizio con Ivano Fossati («Ho visto Nina volare») e Mauro Pagani («Creuza de mä», «Don Raffaè»), ma anche classici degli anni ’60 e ’70. Non possono mancare «La canzone di Marinella», «Amico fragile», «Il pescatore». Gli arrangiamenti sono aggiornati ma non stravolti. Cristiano, che ha lavorato alle musiche con Luciano Luisi, porta in scena anche la sua abilità di polistrumentista, cimentandosi con chitarra, bouzouki, violino e tastiere. E offrendo una serata suggestiva, soprattutto a chi non si è ancora rassegnato alla scomparsa di «Faber». La voce del figlio somiglia sempre di più a quella del padre, e chiudendo gli occhi a tratti si può rivivere quella magia. Non tutto è perfettamente riuscito, alcuni arrangiamenti e alcune interpretazioni lasciano perplessi. Ma il piacere di rivedere su un palco Cristiano De André è grande.

Indubbiamente, tra tutti i «figli d’arte», è quello con il compito più difficile.

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