De Benedetti pensiona il suo "segugio"

Il Partito democratico è allo sbando, quello dipietrista sempre più scatenato e autosufficiente - a fine estate potrà contare su un giornale che gli calza a pennello, fatto da Antonio Padellaro e Marco Travaglio - volete che sfugga alla crisi proprio il partito di Repubblica?

Tira un’aria pesante, di smobilitazione, nel giornale diretto da Ezio Mauro, fondato da Eugenio Scalfari e proprietà di Carlo De Benedetti. Il più celebre degli imprenditori «illuminati» e «progressisti», ha fatto qualche conto giungendo alla conclusione che deve liberarsi di un centinaio di giornalisti, più un gruppetto all’Espresso e chissà quanti altri nella catena dei quotidiani locali. Dopo un’intensa e drammatica trattativa col Cdr, la rappresentanza sindacale di base dei giornalisti, s’è accontentata di 84 prepensionamenti. E il grottesco è che nell’elenco figurano anche le migliori firme dell’organo più importante della sinistra nostrana. È in lista di congedo anche Giuseppe D’Avanzo, quello del tormentone «dieci domande dieci» al presidente del Consiglio.

Vedi che, al momento della verità, anche lì emerge l’anima vera del padrone delle ferriere? Con buona pace delle magnifiche sorti e progressive, ovviamente; e con il placet tanto del fondatore - tutto preso ormai nelle sue chilometriche articolesse -, quanto del direttore impegnato a dar la linea al Pd, all’intero centrosinistra e pure a Pier Ferdinando Casini. Un collega si sfoga: «Scalfari, almeno, è riuscito a mandare Craxi ad Hammamet. Ezio invece s’è scornato inutilmente, perché Berlusconi è ancora saldamente al suo posto, più di lui. Ed ora gli tocca anche l’umiliazione di vedere impoverita la redazione».

Oddio, il bisogno di far quadrare i conti è comune un po’ a tutti i giornali: il mondo dell’informazione fatta di carta e inchiostro è in crisi e denuncia un forte calo di introiti pubblicitari. Così, al meccanismo del prepensionamento stan facendo ricorso anche altri quotidiani nazionali, pure il Corriere, la Stampa di Torino, il Messaggero di Roma, lo stesso nostro giornale. Nessuno però, in dosi così massicce e devastanti come Repubblica. Sembra un «tutti a casa», un 8 settembre. Quasi la presa d’atto che la guerra contro il Cavaliere nero è perduta, e che la conquista dell’egemonia nel campo democrat si va rivelando una vittoria di Pirro. Questi 84 prepensionamenti evocano la fine di un’era, la Caporetto del partito di Repubblica.

L’epilogo è previsto a settembre, ma la redazione ha già dovuto ingoiare il bollettino finale della guerra: l’accordo alla meno peggio, strappato dal Cdr, ha avuto 272 sì, 28 contrari e 10 astenuti. I bonzi della Fnsi, il sindacato unitario dei giornalisti, si stanno esercitando come mosche cocchiere tra il ministero del Lavoro e Palazzo Chigi, ma il destino appare segnato. Al consummatum est, risulterà che il giornalista più anziano ed esperto con regolare contratto a Repubblica, è il direttore, Ezio Mauro, classe 1949. Mentre tutti i nati prima del 30 novembre 1952, saranno congedati. Così, andranno in pensione quasi tutte le firme celebri di Repubblica. Oltre a D’Avanzo, lo scooppista di punta, gli esteri perderanno Francesco Merlo, Alberto Stabile, Guido Rampoldi, Leonardo Coen. Gli interni Marco Politi, Alberto Statera, Marco Marozzi, Giorgio Battistini, Gianluca Luzi. Lo sport perde Gianni Mura. E poi Paolo Rumiz, Guglielmo Pepe, Marco Panara... e ancora molti altri.

La vera rovina, lo spreco di risorse e di professionalità, sta in realtà nell’allontanamento di quei tanti giornalisti meno noti ai lettori perché sono a capo delle strutture, incarnano la «macchina» del giornale, lo pensano e lo fanno. A molte delle grandi firme infatti, la direzione ha già offerto contratti di collaborazione esterna. Così l’esercito di re Ezio si trasforma in compagnia di ventura, con «professionisti a contratto» secondo l’accezione craxiana. Ma che esercito sarà, senza più ufficiali esperti e con campioni di penna dimezzati e «ricattabili» per via della collaborazione aleatoria? Un esercito di ragazzini. Come quello rabberciato da Hitler per l’estrema difesa della Cancelleria. Così, in questa torrida estate del dopo terremoto, dopo escort e dopo G8, a Repubblica si parla più di pensioni che di Berlusconi.

Col paradosso che anzi si spera in lui, perché è soltanto il governo che può rendere meno doloroso - almeno economicamente - il pensionamento coatto. Ma frustrazione, rabbia e sgomento attanagliano l’intera redazione. Che se la prende col padrone «illuminato», col direttore «intelligente» e coi vertici sindacali, accusati di tutto e di più.

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