De Luca: «Porterò l’Istituto Luce sul mercato»

«Abbiamo un budget risicato, ma diventeremo fornitori di RaiCinema, Mediaset, Medusa e Sky»

Cinzia Romani

da Roma

Il mondo del cinema è un orto chiuso, dove gli addetti ai lavori tengono l’orecchio a terra come i Sioux. Cambia il tempo politico? Le mani corrono alle terga. Perché di colpo, all’Istituto Luce c’è un nuovo presidente, l’avvocato Flavio De Luca (figlio di Willy, già direttore generale Rai), un manager temporaneamente a capo della segreteria tecnica del ministro Baccini. Ma cosa c’entra, alla testa del gruppo cinematografico pubblico, un docente di diritto amministrativo, ex consulente della Rizzoli e già amministratore delegato della Metropolitana di Roma? Andrea Piersanti, il presidente congedato, in via Tuscolana aveva portato prestigio e soldi. A furia di tagliare fondi, magari ci troveremo a ripetere, come i femminielli di Mater natura (commedia prodotta dal Luce, con Vladimir Luxuria), «noi un’anima ’a tenimm, scassata, ma, ’a tenimm!»? Giriamo le perplessità a Flavio De Luca.
La sua esperienza manageriale allarma: altri tagli al settore della cinematografia pubblica?
«Avere scelto me significa fare quadrare i conti in una stagione di risorse limitate, certo. Ma non occorre essere un cantante per gestire un Ente lirico. Ignoro se Bettini, a capo dell’Auditorium romano, abbia un curriculum adeguato all’incarico».
Ha in mente un progetto, per far quadrare i conti?
«Il Luce, la cui tradizione culturale risale al 1924, ha un ingente patrimonio documentaristico. Lo metterò in sinergia con gli operatori del mercato: Rai Cinema, Mediaset, Sky, Medusa. Punto a diventare fornitore di questi soggetti».
Negli anni scorsi si è operato proprio in questa direzione...
«Senz’altro. Sia Piersanti che l’amministratore delegato, Luciano Sovena, hanno lavorato bene. Ma ora la situazione è difficile e il nostro gruppo deve razionalizzare i comparti. Assorbirò le società meno rilevanti, ricollocando le attività».
Ci sarà un margine per cercare nuove risorse finanziarie?
«È la mia missione. Recupererò l’attività dei diritti, relativi al catalogo. L’investimento culturale deve tener conto dei costi, ma il problema dei costi deve cedere di fronte all’idea di fare crescere il Paese. Abbiamo un budget di 10 milioni di euro».
Che tipo di cinema ha in mente, per rilanciare l’Italia?
«Penso a storie che parlino di noi: il cinema deve raccontare di noi. Non per noi».
Può fare esempi concreti?
«Ladri di biciclette, Roma città aperta. I film di Verdone e Muccino, che esprimono valori, senza essere troppo domestici. Il successo di un film a basso costo come Notte prima degli esami dice che i giovani vogliono vedersi raccontati.

Poi, con atleti italiani formidabili, non giriamo film sullo sport: sarebbe ora di pensarci».
Cosa deve fare il nostro cinema, per mettersi sul mercato internazionale?
«Abbandonare l’intento pedagogico. E narrare come siamo».

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