Caro Granzotto, le scrivo questa lettera per cercare di capire che cosè il debito pubblico! Da dove parte? Con chi lo abbiamo? Quanti e quali Stati sono indebitati, e con chi? Centra la Federal Reserve? Di chi è la Fed? Come mai gli Stati devono pagare degli interessi a qualcuno? La ringrazio anticipatamente se riuscirà a chiarirmi e a chiarire una serie di dubbi.
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Insomma, Lei, caro Delporto, vuole «fare chiarezza»? E facciamola, sta chiarezza, perdinci. Cominciando col chiarire che il debito pubblico - lo dice la parola stessa - è lammontare di quanto lo Stato deve a banche, altri Stati, imprese e privati cittadini che hanno acquistato obbligazioni - i Bot e i Cct - emesse da noi (cioè dallo Stato italiano) per far cassa. Perché emettiamo le obbligazioni, i bond? Perché le spese dellinsieme degli enti locali, delle amministrazioni pubbliche e degli istituti previdenziali sono sempre e di molto superiori agli introiti, rappresentati dal gettito fiscale. Per sanare o tentare di sanare il divario lo Stato, dunque, sindebita. Non solo quello italiano: tutti gli Stati, dagli Usa alla Guinea-Bissau. Oggi come oggi lammontare del nostro debito pubblico è di mille 800 miliardi di euri. Non oso tradurlo in lire, perché cè da restarne secchi. Ci sarebbe, è vero, un eurolandico Patto di Stabilità che impegna a mantenere il debito al di sotto del 60 per cento del Pil (prodotto interno lordo) e comunque non superiore al 3 per cento sempre del Pil, ma nessuno lha mai rispettato, perché lEuropa, parliamoci chiaro, caro Delporto, è solo chiacchiere e distintivo. Allora, spuntiamo le domande: cosa sia il debito pubblico è stato detto, con chi lo abbiamo, anche. Perché lo Stato debba pagare gli interessi (e son 70 miliardi di eurucci allanno) lo si cava dai fatti. Manca la Fed, che è la Banca centrale degli Stati Uniti e che con il nostro debito centra niente (forse ha in cassa un bel numero di nostri Bot, ma così fan tutti) e la domanda numero uno: da dove parte il debito pubblico. Presto detto, dal 26 marzo 1876. Il giorno precedente, aveva giurato il governo presieduto da Agostino Depretis, che succedeva a quello di Marco Minghetti. Raccogliendo il testimone da Quintino Sella, costui portò a termine unimpresa titanica anche per i tempi: riportare in pareggio i conti del Regno molto mal messi per via delle spese sostenute per lunificazione. Fu, quella perseguita da Sella e da Minghetti, una severa e implacabile e impopolare «politica della lesina» che costò sacrifici a tutti, ma non cera altro da fare se si intendeva davvero sanare un buco di 700 milioni, 400 dei quali rappresentati da debiti contratti con la vendita di obbligazioni. Per la destra storica fu un trionfo che pagò amaramente perdendo le elezioni, vinte dalla sinistra che prese dunque per la prima volta il potere. Tenendoselo stretto un bel pezzo e prendendo subito a spendere e spandere - un po per necessità, un po per demagogia - più di quanto lo Stato incassava. Da allora, da quel marzo 1876 e fanno quasi centoquarantanni, il debito pubblico non ha fatto altro che lievitare, quando più, quando meno. Un impulso fortissimo lo ebbe subito dopo il 1968, con la rincorsa dei vari governi per primeggiare nella «spesa sociale» richiesta a gran voce dallopposizione.
Debito pubblico? Forse è meglio fare due conti...
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