«Debito salito per salvare i signori delle banche»

nostro inviato a Rimini

Giulio Tremonti entra nel megapadiglione del meeting di Rimini che sembra una rockstar. Ali di folla e boato, applausi e incitamenti: «Vai Giulio». Davanti all'altro Giulio, quell'Andreotti sempre amatissimo qui, il ministro dell'Economia si leva la giacca ma non solo. Si toglie anche un paio di sassolini dalle scarpe. Il primo è sugli economisti, a quei maestrini che nel loro dibattito per cercare di interpretare la crisi, danno vita a delle «riunioni che ricordano quelle dei maghi». Cita Mandrake, il mago Otelma, Harry Potter. «Ma quello che colpisce di più è che non hanno mai chiesto scusa, nessuno ha mai detto di aver sbagliato. Sbagliano sempre gli altri».
Il secondo sassolino riguarda le banche. Riesuma un detto inglese: «Salvare il popolo, non le banche», per spiegare che il governo, a ragione veduta, in questo periodo nero ha deciso di puntare sulla «difesa delle famiglie, del risparmio e del bene pubblico». Musica per le orecchie del popolo ciellino che si spella le mani. Non che il governo non abbia avuto un occhio di riguardo per gli istituti di credito, anzi. Ma l'affondo resta: «Una cosa che non vi racconteranno mai i banchieri: se abbiamo fatto debito lo abbiamo fatto per salvare la domanda, per salvare il popolo». E poi la stoccata: «La tasca dei banchieri è dei banchieri, quella del governo è di tutti». Il punto è lì. «Quando di fronte a una crisi per eccesso di debito e per transazioni che hanno una logica speculativa bisognava fare una scelta: chi salvare? E avevamo tutti convenuto su le industrie, la famiglia e il risparmio. In molti altri Paesi la scelta è stata è stata il salvataggio delle banche. Un'opzione la cui validità impone una riflessione».
Poi respinge al mittente le critiche di Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa San Paolo che aveva auspicato un intervento choc da parte di palazzo Chigi: «Il governo sta facendo un lavoro serio - dice molestando come al solito gli occhiali - choc e elettrochoc non servono, preferisco la corrente continua». Rivendica poi di aver tassato la speculazione e ricorda le imposte sui profitti delle banche sui mutui e sulle assicurazioni. Non nasconde, Tremonti, di essere seduto sulla poltrona più scomoda di tutte in un periodo di crisi economica planetaria: «In passato le crisi erano interne, ora la crisi viene da fuori ed è più difficile da gestire». Spiega che il periodo nero ci ha fatto male laddove siamo più forti: «Noi siamo un Paese che esporta, siamo la seconda manifattura d'Europa. Se cade la domanda che viene da fuori è ben difficile compensarla». Poi viene fuori il Tremonti battutaro, maître dell'economia sociale di mercato: «Non sono sufficientemente liberista da dire a chi perde il lavoro che penseremo a lui, sì, ma a lungo termine. Penso subito alla cassa integrazione perché si deve mangiare ogni giorno». È un ministro dell'Economia che dimostra di guardare alle fasce più colpite dalla contrazione economica e arriva a esaltare gli operai della Innse, asserragliati per giorni su una gru per protestare contro la chiusura della loro fabbrica: «Quella è stata la notizia più bella dell'estate. Negli Usa ci avrebbero fatto un film a Hollywood. Hanno protestato senza far violenza agli altri, senza bloccare i servizi pubblici. Poi è arrivato un imprenditore che non ha chiesto soldi al governo ma soldi suoi e ha salvato un'industria. È il momento di favorire la compartecipazione degli operai agli utili delle imprese». Una strada per uscire dalla crisi. Anche se, ammette «ci sono Paesi con l'Impero e Paesi con il fardello del debito pubblico. Noi abbiamo un debito pubblico spaventoso». Ecco quello che ha legato le mani del governo. Eppure, rivendica Tremonti, «abbiamo cercato di consolidare i conti pubblici con l'attenzione di non fare troppe spese: più spese sono più tasse per la povera gente».
Seppure navigando in acque difficilissime il governo ha messo a segno molti colpi: «Abbiamo cercato di tenere insieme il sistema sociale, abbiamo dato il via a riforme fondamentali: nucleare, scuola, sicurezza. Garantire tutto questo è stato un risultato eccezionale». Ma il fiore all'occhiello resta uno: il federalismo fiscale. «Strumento fondamentale per combattere l'evasione fiscale».

L'ottimismo c'è: «Ci hanno detto che l'Italia è un Paese in declino. Non è vero. È esattamente l'opposto perché guadagna quote di commercio mondiale». Poi un altro successo storico: «L'inflazione reale è risultata inferiore a quella programmata».

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