Ci vuole davvero una bella faccia tosta per sostenere che - come ha fatto la giunta Marrazzo con migliaia di manifesti affissi sui muri della Capitale - «è il governo nazionale ad avere responsabilità precise sulla riduzione di offerta sanitaria nel Lazio». Altro che mera propaganda per incassare il massimo dei consensi in campagna elettorale. Qui, malgrado la corsa per le regionali del 2010 non sia ancora partita, si sta eccedendo in ipocrisia e cattivo gusto. E non parliamo della memoria corta anche se basta un breve excursus per rinfrescare i ricordi.
Già, perché era marzo 2006 quando la giunta approvò un provvedimento per ridurre circa 5.000 posti letto e chiudere 3 grandi ospedali: Forlanini, San Giacomo e Nuovo Regina Margherita. Più tardi (luglio 2006) arriva il programma di trasferimento del personale dei reparti di patologie polmonari dal Forlanini al San Camillo.
In seguito (ottobre 2006) Marrazzo incominciò a parlare di ridurre lofferta ospedaliera. Infine lo stesso firmò, con il governo Prodi (febbraio 2008), il piano di rientro dal deficit: chiusura di oltre 3.000 posti letto, serrata dei piccoli ospedali e accorpamento di reparti specialistici. E non è che misure così drastiche abbiano fatto migliorare i conti della sanità. Tuttaltro. Per cui diventa inevitabile che la propaganda sciatta di unamministrazione diventi facile bersaglio per ogni sorta di condanna.
«Siamo al ricatto finale con la campagna di affissioni. Falso, niente di più falso. È quantomeno ignobile tentare di scaricare sul governo nazionale il fallimento di quasi cinque anni di governo della sanità laziale, che registra nel 2009 più di due miliardi di disavanzo tendenziale contro una manovra correttiva, basata per circa il 70 per cento sui tagli ai privati in convenzione e che genererà non più di 300 milioni di economie reali». Poche parole, quelle di Cesare Cursi, responsabile nazionale salute del PdL e presidente della commissione Industria, commercio e turismo di Palazzo Madama, per ribadire quanto nellamministrazione Marrazzo sia prevalsa la totale assenza nella programmazione della politica sanitaria.
«È chiaro - spiega ancora Cursi - che il governo nazionale oggi chieda rigore nei conti, ma guai se così non fosse. Lincapacità di alcuni non può essere posta a carico dei conti di tutte le altre regioni. Toscana, Lombardia, Emilia Romagna hanno dimostrato di erogare eccellente salute mantenendo in equilibrio i conti rispettando gli attuali standard economici di sostenibilità. Anzi, la migliore sanità è praticata proprio dalle regioni più attente ai saldi di bilancio. Sicilia e Campania spendono più del 10 per cento del loro prodotto interno lordo per la sanità contro poco più del 5 per cento di Lombardia e Veneto. E mi sembra che la qualità dei servizi offerti sia sotto gli occhi di tutti. Il Lazio spende poco meno dell8 per cento ed è al quattordicesimo posto nazionale nella qualità dei servizi offerti».
Quanto al dettaglio sul debito prodotto, Cursi dice chiaramente: «La nostra regione da sola assomma quasi la metà del debito sanitario nazionale per la totale assenza di politica sanitaria. Lattuale manovra è incentrata unicamente sul taglio delle prestazioni, il che è suicida. È come se un albergo per risanare i conti tagliasse su lenzuola, camerieri e riducesse le camere, anziché puntare su qualità, professionalità e cortesia. Il fallimento sarebbe certo. Il Lazio ha agito così.
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