Marcello DOrta
Se vado di questo passo, farò la fine di Barbara.
Barbara è la protagonista de Il sarcofago, episodio di «Ai confini della realtà», mitica serie televisiva americana, andata in onda, in Italia, nei primi anni Sessanta. Si racconta di una grande diva di un'epoca passata, che trascorre i suoi giorni chiusa in una stanza buia, dove una vecchia macchina da presa proietta ossessivamente sempre gli stessi film, quelli che vedevano Barbara giovane, in scene romantiche e d'amore. L'ormai dimenticata attrice si ostina a credersi ancora protagonista di un mondo ormai lontano, rifiutando la realtà. Dopo un deludente incontro con uno dei vecchi compagni di scena (che la donna «rifiuta» di riconoscere, poiché troppo evidenti sono sul suo volto i segni del tempo), Barbara ritorna nella sala di proiezione, aziona la macchina da presa, e allorché compaiono le prime scene sentimentali, si alza dalla poltrona, e lentamente entra nello schermo cinematografico, accolta con gioia dagli attori. È il passaggio dalla vita reale alla vita virtuale, dalla materia al sogno, dalla quotidianità all'ideale.
Sì, anch'io rischio la schizofrenia, ma siccome non esistono schermi magici che possano «inglobarmi», è possibile che un bel giorno sia prelevato (con buone maniere, spero) dagli infermieri del manicomio e rinchiuso nel reparto «Anni Sessanta», assieme a tutti quelli che, come me, hanno in spregio l'attuale produzione tv, e vivono di ricordi. Quali ricordi? Quelli ad esempio dei grandi sceneggiati (La cittadella, E le stelle stanno a guardare, David Copperfield, I promessi sposi, I miserabili, Il conte di Montecristo), dei musical (Gian Burrasca), delle serie televisive (I racconti di padre Brown, Le inchieste del commissario Maigret), dei varietà (Stasera i Cetra, Canzonissima, Studio Uno), delle commedie «del venerdì sera» (quelle con Eduardo De Filippo, Giorgio Albertazzi, Salvo Randone, Lydia Alfonsi, Paolo Stoppa, Lilla Brignone: mostri sacri della recitazione), dei quiz a premi (Lascia o raddoppia?, Telematch, Il Musichiere, Campanile sera, Rischiatutto), dei programmi sportivi (90° minuto, La Domenica sportiva: ma quelli di una volta), della tv dei ragazzi (Lassie, Rin-Tin-Tin, I ragazzi di padre Tobia, Lo zecchino d'oro), della pubblicità (Carosello, Tic-Tac, Arcobaleno), dei telegiornali (con conduttori che non tradivano il loro credo politico, con gente «seria» dietro la scrivania: Paladini, quello con le orecchie a sventola, il «nobile» Carrai, Raviart), persino delle annunciatrici (Rosanna Vaudetti, Nicoletta Orsomando, Aba Cercato) e dei meteorologi (Bernacca, Pennacchi, sostituiti, in qualche emittente privata, da insulse e provocanti signorine).
Basta, basta, non se ne può più del Grande Fratello, della Talpa, di Amici, della Prova del cuoco, di Affari tuoi, dell'Italia sul Due (programma ossessionato dal sesso), delle Iene, di Quelli che il calcio, di Controcampo (trasmissione dove sono tutti «su di giri», a cominciare dal conduttore), di Buona Domenica (con l'onnipresente e onnipotente Costanzo), dei Raccomandati, della Squadra 1, 2, 3, 4, 1.000.000, dei preti-poliziotti, dei nonni-preti, dei preti-nonni-poliziotti...! Non se ne può più di attori che non sono attori, di presentatrici, vallette, giornaliste, opinioniste (o pseudo tali) sedute sopra un «trespolo» a mostrare cosce e tette, con labbra siliconate. Voglio tornare agli Anni Sessanta, desidero solo questo, ormai. Qualcuno inventi per me la macchina del tempo, lo faccia per carità! Ma intanto coltivo un'idea. Domani vado da un antiquario, acquisto un vecchio apparecchio televisivo, dallo schermo bombato e dai tubi catodici giganti, con due sole manopole, e naturalmente a valvole. Mi ci metto davanti e lo guardo per un'ora, in religioso silenzio.
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