«Delitto e castigo» ridotto ad un giallo giudiziario

Glauco Mauri rilegge Dostoevskij senza tensione drammatica

Enrico Groppali

Per molti Delitto e castigo, come la maggior parte della grande letteratura russa del diciannovesimo secolo, è stata tra le più emozionanti scoperte giovanili. Letta e riletta con appassionata, se non morbosa attenzione nella maturità. Che ha sovrapposto a quei lontani ricordi il filtro dell'analisi e lo scandaglio della logica, la sola facoltà in grado di correggere, limare e approfondire lo slancio emotivo del primo approccio. Al quale siamo debitori dell'impalpabile atmosfera che ci ha avviluppati fin dalle prime pagine precipitandoci nella desolata stanza di Sonia come nell'appartamento del giudice Porfirji e nel locus mentale di Raskolnikov. Divenuti agli occhi del lettore non solo ambienti noti ma luoghi della mente e del cuore non dissimili dal gemito doloroso del vento e dalla plumbea solitudine del paesaggio siberiano che, nelle ultime pagine, si stringe attorno all'assassino redento nel grandioso afflato di un'aura metafisica che insieme lo annulla e lo eleva al rango di uno spirito perso nella vacua immensità della natura.
Teatrali come sono per la prepotenza delle immagini che evocano, il tormento che ci si insinua sotto pelle e lo straordinario disegno a tutto tondo dei protagonisti, questi libri-poemi hanno sempre destato l'interesse della scena. Che tuttavia, non sempre ha reso giustizia al magma dell'originale. Per riuscirci, si richiede infatti una drammaturgia come quella che Camus a suo tempo ideò per I demoni o Wajda per L'idiota dove, attorno al letto su cui giaceva Nastasja, si snodava a ritroso tutta la narrazione.

Ora Glauco Mauri, regista e autore di questo adattamento, ha invece optato per un confronto riduttivo e semplicistico tra le istanze del diritto incarnato da Porfirji (cui conferisce come interprete un andamento burattinesco piuttosto scontato) e la complessità del gesto di Raskolnikov che, nei timidi imbarazzi e nelle pause ad effetto sapientemente centellinate da Roberto Sturno, evoca al massimo a un dramma giudiziario di Durrenmatt se non un puro e semplice caso clinico. Dove Dostoevskij non c'è.

DELITTO E CASTIGO - da Dostoevskij. Regia, riduzione e interpretazione di Glauco Mauri, con Roberto Sturno. Milano, Teatro Carcano, fino al 2 aprile poi in tournée.

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