Delon: "Mi spiegate la storia di monsieur Visco?"

Lunedì scorso ero alla Messa per il funerale di Jean-Claude Brialy, regista molto amato in Francia. Tre episodi mi hanno colpito nella chiesa dell'Île Saint-Louis. Il primo è che all'entrata di Sarkozy tutti sono scattati in piedi, manco fossero militari. Ho assistito a diversi arrivi di diversi Presidenti della Repubblica Italiana, sempre preceduti dalla scena penosa degli addetti al cerimoniale che ricordavano ai presenti di alzarsi, all'ingresso del Presidente, se no tutti sarebbero rimasti seduti. Non è che i nostri cugini francesi siano più servili di noi: hanno il senso dell'autorità, e di un'autorità che viene dal popolo, non da accordi di palazzo.
Il secondo episodio riguarda il sacerdote che officiava la Messa. Il quale, nella sua omelia, ha ricordato «il dolore del compagno di Jean-Claude, Bruno». Una frase che tutti hanno giudicato normale, e non solo in chiesa, perché i giornali non ne hanno fatto cenno. Si può immaginare che cosa sarebbe successo da noi, in questi tempi di dico-non-dico.
Terzo episodio. Al momento di salutare la bara, Alain Delon, grigio ma aitante, ha aiutato ad alzarsi Jean-Paul Belmondo, grigio ma che si reggeva a fatica su un bastone, e si sono tenuti a lungo per mano, sembravano due bambini sperduti. Mi è sembrato il segno della fine del cinema francese che - come da noi - ha ancora dei grandi ma non ha più eredi.
Così quando ieri mi è capitato di incontrare Delon, con degli amici comuni, ho provato ad affrontare con lui il tema dell'agonia delle due cinematografie. L'argomento non gli è piaciuto, ce n'era un altro che gli interessava di più (è un uomo attento e curioso): voleva sapere da me del caso «Viscò et du général Spesial». Aveva letto qualcosa sui giornali francesi, che però evidentemente non l'avevano soddisfatto. «Il mio giornale, il Giornale di Milano», ho cominciato, «ha scoperto che il viceministro Visco, che nel governo si occupava anche della Guardia di finanza, ha cercato di far trasferire dei generali i quali conducevano un’inchiesta su certe faccende economiche riguardanti la sua parte politica».
«Ma è molto grave!» ha esclamato spalancando i famosi occhi azzurri. «E che ha fatto monsieur Prodì?».
«Be’, prima ha cercato di dire che non era una faccenda così grave. Poi ha tolto a Visco la delega sulla Guardia di finanza...».
«Ah, ecco», ha detto, lieto di avere capito e che la faccenda fosse finita nel modo giusto. Ama l'Italia, Delon.
«Però hanno anche rimosso il generale Speciale dal comando», ho dovuto aggiungere, un po' umiliato.
«Ah, e che aveva fatto, il generale?».
Come glielo spieghi, a uno straniero, che il generale non aveva fatto niente se non il suo dovere e dire la verità? Poi mi sono ricordato che Delon ha recitato nel Gattopardo di Luchino Visconti, e gli ho citato la famosa battuta - oh quanto vera nella storia d'Italia - di Tomasi di Lampedusa: «Bisogna che tutto cambi, perché niente cambi». E ho continuato: «Così hanno offerto a Speciale un incarico nella Corte dei conti, che è molto importante, perché rivede appunto i conti dello Stato...».
«Mais non!».
«Mais oui!».
«E l'opposizione che cosa ha fatto, allora?».
«Ha presentato una mozione, per chiedere spiegazioni».
«Et voilà. Et alors?».
«Anche due ministri, monsieur Di Pietro e monsieur Mastella, non erano molto contenti di come si era comportato il governo...».
«Ah, ecco!».
A questo punto, lettori miei, non so perché (lo so perché) mi sentivo un idiota: «Il ministro dell'Economia, il superiore di Visco, ha detto che il generale non è una persona tanto perbene...».
«E i due ministri?». Delon cominciava a sospettare che lo prendessi in giro, e si guardava intorno come per cercare aiuto, o per chiedere se io fossi un uomo credibile.
«I due ministri», ho continuato con l'aria più convincente possibile, «sono stati contenti che la maggioranza abbia respinto la mozione del centrodestra».
«Ma non avevano detto...?».
«Sì, Alain, mi scusi, ma non ha voglia di parlare di cinema?».
«Un'ultima cosa, Jordanò: almeno il suo giornale e il suo direttore hanno fatto una bella figura, no?». Mi voleva consolare, gentile.


«Igiornaliavversidiconochemestiamonel torbidoecheabbiamomontatouncasoinesistente», ho risposto d'un fiato.
Alain Delon ha socchiuso gli occhi, mi ha guardato fisso e, finalmente, ha detto quel che mi aspettavo e temevo da tempo: «Ah, les italiens!».

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