Demansionamento e dequalificazione: facciamo chiarezza

di Marco De Bellis*

La legge consente al datore di lavoro di mutare le mansioni assegnate al dipendente anche senza ottenerne il consenso. Ciò può avvenire, ma nei limiti definiti dalla legge, più precisamente dall'articolo 2103 del Codice civile. Si tratta di un tema estremamente delicato e al centro di numerose controversie legali.
Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni equivalenti alle ultime svolte. La giurisprudenza ha ampiamente chiarito il concetto di «equivalenza». Infatti, sono mansioni equivalenti alle precedenti quelle che consentono al dipendente di utilizzare e arricchire il bagaglio tecnico professionale precedentemente acquisito.
Così, ad esempio, non è legittimo adibire un venditore a svolgere delle mansioni amministrative anche se rientranti nello stesso livello contrattuale. Si tratta, dunque, di limiti che attengono all'attività precedentemente svolta dal prestatore di lavoro (il cosiddetto «demansionamento»). Accanto a questi limiti di natura soggettiva, vi sono altri limiti di natura oggettiva. A tal proposito, il datore di lavoro non può adibire il dipendente a mansioni di livello inferiore all'inquadramento contrattuale di quest'ultimo. Così l'impiegato di IV livello non può essere adibito a svolgere mansioni che il contratto collettivo indica come proprie di un livello inferiore. Si tratta, questo, di un aspetto verificabile da un'attenta lettura dei vari profili contenuti nel contratto collettivo e dalla successiva comparazione con le mansioni concretamente svolte dal dipendente (in caso di violazione si parla di «dequalificazione»).


Vi sono delle eccezioni che consentono al datore di lavoro di poter adibire il dipendente a mansioni inferiori e sono casi limite principalmente connessi con la possibilità di evitare il licenziamento di quest'ultimo.
*Avvocato del Foro di Milano

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