RomaA destra e a manca, rivolto al governo e allopposizione, oltre che spesso e volentieri al Colle, come ieri. Quando si tratta di alzare i toni, Antonio Di Pietro è un vero democratico, e i suoi insulti sono uguali per tutti. E se Berlusconi e Napolitano sono i suoi bersagli preferiti, i suoi strali non risparmiamo gli alleati, tanto che scorrendo a ritroso agenzie e titoli dei giornali non è raro trovare scintille rivolte dal leader Idv a Pd e Udc.
Lo stile verbale di Di Pietro - aggressivo, eccessivo, paradossale - è lo stesso per tutti. E così il 13 novembre scorso, quando Villari si ritrova eletto alla Vigilanza Rai al posto del «suo» Orlando, ecco che Tonino furioso si lancia in un paragone soft contro Silvio Berlusconi: «Il premier è come Videla - spara - umilia ogni giorno il Parlamento con i suoi colpi di mano». Anno nuovo, abitudini vecchie. Di Pietro sale sul palco di una manifestazione contro la riforma della giustizia, il 28 gennaio in piazza Navona, e scatena il finimondo: «Napolitano è stato poco arbitro e poco terzo», accusa. «Il silenzio uccide. Il silenzio è un comportamento mafioso». Il leader Idv finisce anche indagato per offesa allonore e al prestigio del capo dello Stato, ma il caso viene archiviato dalla procura di Roma in due settimane. E Di Pietro non mancherà di tornare a stuzzicare più volte - ieri lultima - linquilino del Quirinale. Poi rieccolo indossare i panni del salvatore dellItalia dalla dittatura accusando lesecutivo, a febbraio, addirittura di «ricalcare le orme del partito nazionalsocialista». Su che base poggiasse il parallelo dipietrista tra governo e Terzo Reich non è dato sapere, ma di certo Tonino insisterà con accuse non proprio leggere dirette al premier e ai suoi ministri. Così a La Russa che due mesi fa aveva detto che lAlto commissariato dellOnu per i rifugiati «non contava un fico secco», Di Pietro il 16 maggio prima risponde che «nel Ventennio tutte le organizzazioni non contavano un fico secco», e poi aggiunge: «Oggi cè la caccia allimmigrato come una volta cera la caccia allebreo». Un altro sobrio giudizio di sintesi sullesecutivo lex pm lo elargisce ai corrispondenti della stampa estera (suo ultimo amore) pochi giorni fa, il 7 luglio, parlando di «regime piduista, fascista, razzista e un po xenofobo». Si avvicinano le elezioni, e così Di Pietro alza il tiro. Il premier partecipa alle cerimonie per il 25 aprile? Per Tonino «è protagonista della più grossa ipocrisia e paraculaggine della storia». Un mese dopo, gasato da un articolo del Financial Times che attacca Berlusconi, Di Pietro riparte a testa bassa: «Un Nerone nostrano (forse per Di Pietro Nerone - nato ad Anzio - era forestiero?, ndr) che gode nel vedere bruciare il nostro Paese». Una botta la riserva anche a Fini, accusato il 28 marzo di «tenere il piede in due scarpe». Lattacco al Carroccio, il 27 marzo, è in chiaroscuro: «La Lega fa bene il suo lavoro sul territorio nel weekend. Poi dal lunedì al venerdì si svende a Roma». Non manca un pensiero per Confindustria, «rea» di aver applaudito il premier che attacca la magistratura il 21 maggio. «Quegli applausi sono la testimonianza che il sistema di tangentopoli è ancora infiltrato nella nostra economia attraverso molte mele marce». E i messaggi agli «amici» dellopposizione non sono troppo dissimili. LUdc? «Ha fatto solo disastri», sentenzia lex pm il 5 marzo. E il 30 giugno rispolvera uno dei suoi pezzi forti da tribunale: «Ma che ci azzecchiamo noi con lUdc? Niente».
Non va meglio con «quelli» del Pd, definiti «pavidi, persone senza coraggio, dei Ponzio Pilato» il 24 giugno. Ma già prima del voto, a fine maggio, Tonino aveva lanciato un siluro agli alleati: «Un voto a Pd o Udc è utile e funzionale per Berlusconi perché non disturba e consolida un vago senso di democrazia». Ma si scende anche sul personale.
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