Demolita l’ex fabbrica lager: via in mille, chi resta ha paura

Filippo Marra Cutrupi 

Reggio Calabria - I braccianti di colore sono stati portati via in meno di 36 ore dopo gli scontri iniziati giovedì pomeriggio a Rosarno. I numeri diffusi in una nota dalla Questura di Reggio Calabria parlano chiaro: 428 extracomunitari sono stati portati con i pullman al centro di prima accoglienza di Crotone; altri 400 al Cpa di Bari. E 300 - secondo la stima della Polizia - hanno lasciato il paese utilizzando i treni diretti al Nord. Nella tarda serata di sabato il folto gruppo di sans papier ha passato diverse ore alla stazione di Lamezia Terme dove è stato assistito dal personale della Protezione civile locale. In pratica con i trasferimenti «si è praticamente realizzato lo svuotamento delle due ex fabbriche utilizzate dagli immigrati come dormitori in località Spartivento nell’ex fabbrica Sila e alla Rognetta. Nelle prime ore della mattina è iniziata la demolizione dello stabile, che proseguirà anche oggi. Quando a Rosarno è prevista una manifestazione pacifica dei cittadini per protestare contro l’etichetta di razzisti, incollata addosso dai media in questi giorni convulsi.

Secondo i dati ufficiali gli immigrati medicati negli ospedali della zona sono stati nel complesso 21 nell’arco della tre giorni che ha tenuto Rosarno sotto i riflettori dei media per la violenza e i fenomeni di xenofobia. Otto immigrati sono ancora ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria, Gioia Tauro e Polistena. Tutti vengono considerati non in pericolo di vita. I rosarnesi refertati sono stati 14, dieci i poliziotti e otto i carabinieri. Nel corso degli incidenti sono state danneggiate due auto della polizia e arrestate nel complesso dieci persone di cui sette extracomunitari e tre italiani. I servizi di presidio e vigilanza a Rosarno sono ancora in atto e resta rafforzato il servizio di controllo nel territorio di tutta la zona. In tutto, dall’inizio delle operazioni di sfollamento, sono quasi 1.300 gli immigrati che hanno lasciato volontariamente o accompagnati la zona, per dirigersi in zone del nord Italia o rifugiarsi in centri di accoglienza calabresi e pugliesi.

A Rosarno ci sono ancora degli extracomunitari che vivono nelle baracche e nelle campagne. Nascosti per paura di essere cacciati, («Non dai rosarnesi», fanno sapere, «ma dalla polizia»). Giovanni e la moglie Cristiana, il figlio Giovanni junior e la figlioletta di sei mesi Maria vivono da otto anni a Rosarno, vengono dal Ghana. Abitano da tempo in un appartamento che affaccia sul corso principale di ingresso della cittadina nella Piana di Gioia Tauro. Il proprietario del loro appartamento fa parte del Comitato civico spontaneo che in questi giorni ha protestato dopo la rivolta degli extracomunitari. Cristiana con grande forza d’animo non si è lasciata travolgere dagli eventi: «Io vado sempre a messa. Il prete mi ha detto che sono una brava persona e che quindi non mi sarei dovuta preoccupare. I miei bambini vanno a scuola, mio figlio è nato qui, è di Rosarno anche lui. Anzi, siamo tutti di Rosarno. Siamo paesani tutti. C’è il rosarnese bianco e quello nero». Il marito Giovanni seduto su un divano si riposa scorrendo i canali della televisione con un telecomando. È meno ottimista: «Ho detto al mio datore di lavoro che non posso andare in questi giorni, non posso rischiare di essere picchiato o ferito con le pistole ad aria compressa. Voglio che la situazione si calmi. Qui una volta c’era lavoro per tutti».

L’eco dei fatti di Rosarno si è sentita anche a Piazza San Pietro. Nei pensieri e nelle preoccupazioni di Papa Benedetto XVI, espressi al consueto Angelus domenicale, c’è stato posto anche per gli immigrati e i fatti di Rosarno, i cristiani perseguitati in ogni angolo della terra, le famiglie e i bambini di tutto il mondo. «Un immigrato è un essere umano - ha detto Ratzinger - differente per provenienza, cultura, e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare nell’ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita. La violenza non deve essere mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà.

Il problema - ha aggiunto Benedetto XVI al termine dell’Angelus - è anzitutto umano». Da qui l’invito a «guardare il volto dell’altro e a scoprire che egli ha un’anima, una storia e una vita e che Dio lo ama come ama me».

 

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