Denunciò la svendita della Sme «Hanno cercato di uccidermi»

nostro inviato a Napoli
Ok, va bene, parlo. Anche se è dimostrato che hanno provato a uccidermi a causa di quanto avevo scoperto sul complotto politico-economico ordito per far fuori l’azienda che vinse l’appalto della Sme, sono disposto a raccontarvi tutto quel che so, peraltro documentato in atti ufficiali da me prodotti e snobbati da chi aveva il dovere di indagare. Parlo solo perché ho visto che finalmente due procure, dopo undici anni, si sono messe a scavare su questo filone...».
Tutto d’un fiato. Quando finalmente prende aria, Renato Castaldo, il perito economico più gettonato di sempre dalle procure campane, autore della mastodontica consulenza sulla Sme che nel 1998 puntava l’indice su colossi bancari e personaggi eccellenti (a cominciare da Prodi e De Benedetti) si mette comodo e a disposizione. «Avanti, chieda pure».
Per cominciare. È sorpreso dall’iniziativa dei magistrati di Salerno e Nocera Inferiore che, di fatto, riaprono il filone Sme in una direzione che potrebbe portare dritto al duo Prodi-De Benedetti?
«Sorpreso solo perché ne ho viste troppe all’epoca e pensavo che non esistessero magistrati interessati a fare luce sull’origine di tutti i guai della Sme. Per il resto no, non sono affatto sorpreso poiché quanto da me scritto, descritto, provato al centesimo nella consulenza tecnica, dimostrava senza timore di smentita com’erano andati i fatti. Basta leggere quelle mie carte dell’epoca per vedere lo schifo. Anche un bambino capirebbe quel che è riportato nei documenti depositati sul finire degli anni Novanta per conto della procura di Salerno che indagava a seguito delle denunce di un certo Giovanni Fimiani, titolare della Cofima, l’azienda che vinse l’appalto Sme e che venne dichiarata fallita - nonostante godesse di ottima salute - con un’azione concentrica e concomitante delle banche che non ha precedenti al mondo».
Nella sua relazione finale concluse parlando di un complotto politico-economico ordito da menti raffinatissime...
«Confermo il concetto. Fu un complotto pensato e pianificato nei dettagli da chi aveva interesse a togliere di mezzo la Cofima che evidentemente ruppe determinati equilibri, violando contestualmente santuari finanziari, tanto che non apparve una fortuita coincidenza il concentrarsi, nello stesso periodo, di inique attività contro l’imprenditore Fimiani. Ecco, scrissi proprio così nella relazione al pm...»
Chi era il puparo?
«È scritto a chiare lettere nella consulenza che consegnai nel 1998 al pm salernitano Donnarumma, e che il magistrato fece sua, d’accordo col procuratore capo, concordando su ogni singolo aspetto che coinvolgeva colossi bancari e personaggi importanti della finanza».
Come Carlo De Benedetti?
«Leggetevi la consulenza tecnica...»
Torniamo all’inchiesta insabbiata che oggi rivede la luce.
«Di fronte a quella mole di risultati e di prove, proprio quando il pm Donnarumma stava per chiedere il rinvio a giudizio di vari indagati, accaddero due cose: il procedimento fu mandato prima a Roma e poi a Perugia per competenza territoriale, e il magistrato Donnarumma venne trasferito d’ufficio a Castellamare di Stabia. Di lì a poco, poi, a Donnarumma gliene hanno combinate di tutti i colori: lo hanno massacrato, umiliato professionalmente, messo sott’inchiesta sulla base di alcune lettere anonime. Ma alla fine, di fronte all’inconsistenza degli addebiti, gli hanno dovuto chiedere scusa. E per premio (sic!) lo hanno trasferito di nuovo, credo a Santa Maria Capua Vetere».
Chi tocca i fili muore
«E lo dice a me? Nel periodo caldo degli accertamenti sulla Sme lungo il raccordo Caserta-Salerno un’auto di grossa cilindrata si affiancò alla mia, poi tornò dietro e a 160 chilometri orari mi speronò. L’auto sbandò paurosamente. Volò in aria. Mi salvai per miracolo. Si attivarono carabinieri, polizia, si alzò pure un elicottero. Nessun giornale italiano ne parlò mai, solo pochi mesi dopo uscì la notizia dell’attentato sul Times di Londra e sul Daily Telegraph. Curioso, no?».
Dicevamo del trasferimento degli atti a Perugia...
«Al momento di girare il cartaceo della Sme, il pm Donnarumma scrisse ai colleghi umbri che tanto era stato fatto e che molto altro c’era ancora da fare. E che proprio per ultimare il lavoro mi aveva dato incarico di svolgere ulteriori accertamenti. Con due auto station wagon cariche di carte che provavano i reati gravissimi ipotizzati nei capi d’accusa mi presentai a Perugia per mettermi a disposizione. Capii subito l’aria. Mi vidi sbattere la porta in faccia e con una sequela di scuse inaccettabili mi dissero che a loro non serviva niente. Rimasi a bocca aperta e me ne tornai a casa imbestialito. Solo successivamente, e dopo varie insistenze, seppi che il materiale era stato trasmesso. Così feci ripetutamente sapere ai magistrati perugini, in primis a Silvia Della Monica (oggi senatore del Pd, ndr) che ero a disposizione. Niente. Silenzio assordante. Nessuno mi ha più chiamato anche perché smisi io di sollecitare in quanto, in quei giorni, rimasi vittima di quel tentativo di omicidio con la macchina».
Concludendo. Può spiegare nel dettaglio cosa aveva scoperto?
«Accertai che vi era stata certamente una volontà coincidente e concomitante di più soggetti che avevano il medesimo interesse a impedire che questo sconosciuto imprenditore della Cofima portasse a termine il suo progetto di acquisire la Sme a un prezzo interessante per lo Stato (620 miliardi contro i 497 della Buitoni di Carlo De Benedetti, ndr). E l’azione collaterale delle banche per bruciarlo fu una cosa vergognosa. Ricordo un grosso istituto che nel mentre l’imprenditore Fimiani teneva in cassa un miliardo e mezzo liquidi gli fece protestare un assegno da 30 milioni di lire, altre non rispettarono impegni contrattuali e pretesero dal poveretto il rientro di somme che non doveva in quel momento. Una banca lo costrinse a firmare fideiussioni simulando a suo carico una esposizione debitoria superiore al reale. E via così. Decine di interventi illegali. Un tartassamento scientifico. Un pasticcio ben pilotato figlio di una volontà superiore precisa. Ripeto: chi si legge le carte, capisce. Le due nuove inchieste spero portino lontano: se chiudono il cerchio con le banche automaticamente dovranno accertare responsabilità superiori. Perché è certo che qualcuno ha ordito una trama contro il proprietario della Cofima: può capitare che una banca, un funzionario, impazzisce, e si incaponisce contro un cliente. Ma che cinque-sei grossi istituti di credito, tutti insieme, nello stesso istante, lo aggrediscano in maniera assolutamente illegittima, è una cosa che va prima chiarita e poi perseguita penalmente. È un obbligo dei magistrati indagare sui mandanti».


Il danno allo Stato prodotto da quest’operazione criminale oltreché dal successivo spezzettamento della Sme a quanto ammonta?
«La cifra esatta non me la ricordo. So solo che quando la riportai nella consulenza, rifeci i calcoli perché pensai d’aver aggiunto troppi zeri. Una cifra pazzesca».

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