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Alla deriva pure Capalbio, l’Ultima spiaggia della sinistra champagne

Bei tempi che furono. Un romanzo sui 30 anni del «buen retiro» progressista: dai pensatori a Jovanotti e Victoria Cabello

Alla deriva pure Capalbio, l’Ultima spiaggia della sinistra champagne

Si fa presto a dire Capalbio. Cos’è, Capalbio? È da vent’anni, forse trenta, che si ripete che «Capalbio non è più quella di una volta... ». Eppure è sempre uguale. Si è trasformata, rimanendo sempre se stessa: un filosofico paesino folk nello sprofondo della Maremma cinghiala, buen retiro della migliore gioventù del Paese, ubi consistam dell’intellighenzia di potere, affollato bagnasciuga mediatico, ultimo collegio elettorale della sinistra. Capalbio è un nonluogo, uno spazio della surmodernità dove passano tutti e di tutto, ma alieno da contaminazioni o cambiamenti. Come un centro commerciale, un grande aeroporto, un campo profughi. Un mondo a sé, con tutte le sue diversità, racchiuso tra un telo di mare etnico e una DE-LI-ZIO-SA piazzetta all exclusive. Ben arrivati all’ultima spiaggia.
L’«Ultima spiaggia» è l’incontaminata riserva estiva della sinistra variamente declinata nei decenni, prima sauvage poi caviar, ieri radical oggi cafonal, ma sempre chic. L’«Ultima spiaggia» è il nome dello stabilimento balneare - rifugio dell’aristocrazia danarosa milanese e dell’intellighentia politica romana - più celebre e fotografato d’Italia. La cartina con gli ombrelloni numerati e la fotina del vip sui rotocalchi patinati, hai presente?: «Martelli il 10, Mentana il 50, Marramao il 61, i Rutelli il 31, Asor Rosa viene solo a giugno... », dove - come si disse - l’ultimo arrivato è almeno vicedirettore.
La prima arrivata, o una delle prime, fu Giovanna Nuvoletti detta Nuvola, era il 1978. Ci arrivò per sbaglio e si innamorò del luogo, che allora era un postaccio pieno di zanzare, col mare a venti minuti di macchina e dove le case te le tiravano dietro pe’ mddù mele. Poi il posto si trasformò nella «piccola Atene» della Maremma, mentre lei, figlia di Giovanni Nuvoletti che in seconde nozze sposò Clara Agnelli, è diventata giornalista, fotografa e moglie di Claudio Petruccioli (già direttore dell’Unità, pluriparlamentare rosso, presidente della Rai). E ha scritto un libro, che presenta stasera proprio all’«Ultima spiaggia», località Chiarone, intitolato L’era del cinghiale rosso (Fazi). Un romanzo mediocre ma un eccezionale trattato di antropologia politica. Ossia: come la sinistra champagne, invecchiando, peggiora. Politici, intellettuali e giornalisti tra cene, cavigliere e lettini.
I personaggi del libro sono (quasi) tutti reali. E le cose raccontate, essendo lady Nuvoletti in Agnelli in Petruccioli una vestale di Capalbio, (quasi) tutte vere. Eccola la sinistra di lotta e di cinghiale. Carlo Muscetta, un’icona marxista, critico militante che si dice avesse ricevuto una casa in usufrutto dal Comune di Capalbio in cambio di una donazione alla locale biblioteca di un migliaio di preziosi incunaboli (che si riportò via, però, quando si trasferì in Sicilia). Alberto Asor Rosa, bagnante palindromo, il primo che Toni Negri passò ad abbracciare quando fu ospite del giudice costituzionale Ettore Gallo, nell’estate dell’83, dopo che Pannella lo fece uscire di galera e prima di volarsene a Parigi. Il filosofo Giacomo Marramao, impegnato in epiche battaglie a colpi di bucce d’anguria con altri epistemologici colleghi; e Achille Occhetto, occupato in altrettanto epiche sfide a base di zuppa di pesce con il Petruccioli più giovane, Sandro (e in gare di imitazioni: il segretario della Bolognina tra i suoi pezzi forti aveva Amendola, Ingrao e Alicata). Giacomo Marramao, marxista revisionista «che insieme alla bella notaia da Cortona Emanuela Vesci e a una trentina di altre persone plurilaureate, danzavano come baccanti». Philippe Daverio, con la sua chiacchierata alsazian-varesotta, cicerone di questa Disneyland di sabbia che lui stesso ribattezzò un incrocio tra Pian della Tortilla e il villaggio di Asterix. E poi la «traditrice» Lidia Ravera che fu tra le prime a ironizzare, a mezzo stampa, su «quando l’intellettuale è in vacanza». Un certo Walter Armanini, chiacchierato assessore milanese nella cui residenza, ribattezzata Cà del Doge, si dice troneggiasse una portantina autentica del ’700 veneziano dove l’attendeva, nuda, tra velluti e broccati, la sua Demetra, Hampton. Poi venne Tangentopoli.
Poi vennero Angelo Guglielmi, Elisabetta Rasy, i Chiara Valentini e Aldo Tortorella, Fabiano Fabiani e Furio Colombo (che un certo punto mollarono da solo a Fregene un gelosissimo Alberto Ronchey), i bipartisan Angelo e Melania Rizzoli (che si comprarono la villa del fu Armanini). Ma anche i Claudio Martelli e i Giorgio La Malfa che scaricano dai portabagagli la spesa fatta a Roma nel supermercato sotto casa (venivano accusati di improvvisa tirchieria persino Corrado Augias e Andrea Barbato!). Ma anche i Veltroni e i Fassino. E i Rutelli: lei, la Palombelli (18 milioni di lire per l’affitto di un casale per un mese) «dotata di fisico da pin up e viso da bambola», e lui che al funerale di Sergio Petruccioli, triste agosto 2004, entra in chiesa in braghe corte e ciabatte da mare. Lilli Gruber in topless e Michela Rocco che scivola morbidamente da un Chicco all’altro, da Testa a Mentana. E poi Romano Prodi, clou del gossip del 2000, tutto incerottato e caduto dalla bici sulla strada Marsiliana, e quel Pancho Pardi che Nanni Moretti indicò come futuro leader dell’Ulivo. «Ma chi? Il vate dei girotondini? Anzi, veramente dicono il water... ». Infine le new entry, non sempre graditissime: Pier Luigi Celli, Jovanotti, Victoria Cabello... quando ormai, però, il capalbiese doc è mutato: da intellettuale cinghialato con dieci quotidiani diversi nella borsa marocchina al burino arricchito, col telo firmato.
Vestivamo alla buttero, allora. Vestiamo alla yachtman, oggi. Cambia la fauna, ma Capalbio rimane sempre la stessa. Come dice Giovanna Nuvoletti, detta Nuvola, la carne è debole.

E lo champagne è buono.

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