Milano - Nei giorni scorsi su questo giornale Stenio Solinas ha aperto (e chiuso, dopo gli interventi di noti intellettuali di “centrodestra”, dal politologo Alessandro Campi a Gianfranco De Turris, da don Gianni Baget Bozzo a Luciano Lanna del Secolo d’Italia, da Mario Cervi allo stesso ministro della Cultura Sandro Bondi) una discussione particolarmente feroce sul “Perché la Destra ha paura della cultura” (da notare: senza punto di domanda; una sentenza più che un dubbio), ovvero una amara e disincantata riflessione sul tormentato rapporto fra intellettuali “di destra” e il nuovo partito del Popolo della libertà. Fra appropriazioni indebite nel pantheon dell’immaginario culturale della Sinistra, mai superati complessi di inferiorità nei confronti della parte avversa, pericolose derive manageriali (stiamo parlando dell’area Forza Italia, naturalmente) che tendono a privilegiare il “fare” al “pensare”, ci si chiede: qual è stata e – soprattutto – quale sarà la base culturale di quella vasta area di pensiero che in Italia si continua magari molto impropriamente a definire “Destra”?
Il dibattito suscitato dal Giornale ha offerto molte chiavi di lettura e altrettanti possibili motivi del perché a destra la cultura o non interessa o addirittura dà fastidio (anche se il ministro Bondi ha spiegato che invece molte cose ultimamente in questo campo sono state fatte) ma – sintetizzando l’amara conclusione di Solinas – sembrerebbe che i “vizi” peggiori siano in sostanza due: 1) essere incapaci ormai di sostituire le vecchie e obsolete “bandiere” (autori, testi, idee, battaglie culturali) con nuovi valori più appropriati ai nuovi tempi; 2) essersi concentrati nella conquista del potere – poltrone, cariche, seggi – lasciando come sempre in mano ad altri le casematte dell’intellighentia: università, Fondazioni, case editrici, posti chiave nei giornali, direzione di Festival, enti lirici, musei, teatri eccetera eccetera. Se questa Destra sceglie di fare la Democrazia Cristiana, insomma, non rimangono molte speranze…
Non vogliamo entrare nel merito della discussione, anche perché siamo molto vicini all’idea di Solinas, ma se è vero che anche le grandi rivoluzioni nascono da un piccolo gesto, allora perché non provare a ri-lanciare la (nuova) cultura di Destra? Un modo potrebbe essere quello di stilare un piccolo elenco – naturalmente incompleto e opinabilissimo - delle cose da buttare e di quelle da salvare nella grande casa del "pensiero delle Destre": cosa non bisogna più leggere (va bene: basta Jünger, basta Tolkien, basta Hamsun…) ma anche cosa leggere di nuovo (e che non siano Moccia e Vasco Rossi). Insomma: ogni destra - tradizionalista, cattolica, pagana, moderata, radicale, nazional-popolare, liberalconservatrice, neo-conservatrice, fascista, nostalgica, "nuova", aziendalista, populista, neocomunitarista, sociale, aennina, eretica, liberal, berlusconiana - ha il proprio elenco. Noi tentiamo il nostro.
1) Cose da buttare: Renè Guènon (che alla fine si è pure convertito all'Iislam.); i “collabò” (anche se, però, insomma, il “vecchio” Drieu…); Frithjos Schuon; Mircea Eliade (grande storico delle Religioni, ma politicamente opportunista e come romanziere insomma...); l'ossessione per polemologia; i fascismi europei; gli Indiani d'America; il bushido; le SS Wallonien; la mistica della montagna (anche se, piuttosto che i libri di Corona…); le canzoni di Massimo Morsello; il vandeismo di ritorno.
2) Cose di cui appropriarsi: gli insegnamenti di un teorico dell'arte “reietto” come Jean Dubuffet; un sociologo anomalo come il francese Lucien Sfez; il politologo americano "imperfezionista" e neo-comunitarista Michael Sandel; il filosofo tedesco dell’“eurotaoismo” Peter Sloterdijk; il pensatore irregolare francese Pascal Michon e la sua teoria dei "ritmi condivisi"; il filosofo politico americano Benjamin Barber e la sua analisi dell’infantilizzazione dell'adulto; la rivoluzione spirituale in chiave anti-materialista del teologo "greco" Vito Mancuso; il “Manifesto per un liberalismo etico” propugnato dall’intellettual-imprenditore Federico D’Annunzio; la rivoluzione dell'immaginario in chiave anti-nichilista del sociologo francese Jean Claude Michéa; il contro-pensiero del comunista apostata
Cornelius Castoriadis; l'enigmatico e "imperdonabile" narratore Alessandro Spina; e, naturalmente, l’ottimismo incosciente degli incompresi, fulgidi, irripetibili anni Ottanta.luigi.mascheron@ilgiornale.it
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