Roma Una lettera a Francesco Storace. Un intervento al convegno organizzato da Domenico Scilipoti. Una telefonata alla prima assemblea regionale dell’Alleanza di Centro a Milano.
È attivo su tutti i fronti il presidente del Consiglio, nonostante una settimana non certo rilassante a causa del Rubygate. Silvio Berlusconi, questa volta, sente che il traguardo è vicino. «Ho la pelle dura, vado avanti» promette e ammonisce. Sì, perché dopo aver temuto che l’offensiva della magistratura potesse far svaporare gli sforzi per l’allargamento della maggioranza, ora la fine della stagione della precarietà e delle votazioni thriller vissute sull’altalena degli umori dei parlamentari «di confine» è davvero a pochi metri. Rinvigorito dai 315 sì incassati alla Camera, il premier festeggia l’autosufficienza e il raggiungimento della fatidica soglia dei 316, già alla portata se in aula avesse votato anche lui. Un risultato che gli restituisce la consueta ironia. «Sono ad Arcore e questa sera ho un bunga bunga da organizzare. Ho un compito improbo: fare il casting, che non è affatto spiacevole».
Il premier, però, non può e non vuole accontentarsi. Per questo da domani lavorerà duramente per alzare ulteriormente l’asticella a quota 320 deputati. Un obiettivo a cui potrebbero contribuire i lib-dem Italo Tanoni e Daniela Melchiorre. Restano vivi anche i rapporti con i Radicali. E Marco Pannella pur definendo «irrealistica» l’ipotesi di un’assunzione di responsabilità nell’attuale governo, si dice «fermamente convinto che sia un dovere civile aiutare anche le istituzioni disastrate e far durare la legislatura più in là possibile, se possibile fino alla fine». Una presa di posizione netta che punta anche a scacciare l’ipotesi di un ritorno alle urne. «L’alternativa di elezioni anticipate non è tale - sottolinea Pannella - ma disastrosa e sintomatica: oltretutto avremmo elezioni assolutamente antidemocratiche, fuori legge, di regime violentemente truffaldino, come e più di quello, ad esempio, lombardo-formigoniano, alla Bruti Liberati per intenderci. Ed è proprio quello che si vuole».
Non ci sarà, però, una accelerazione sui tempi del rimpasto. La parola d’ordine è non cedere alle pressioni. Soltanto quando quota 320 sarà stata toccata l’esecutivo potrà essere puntellato con i nuovi ingressi. Il premier ipotizza la creazione di 10-12 nuovi sottosegretari, grazie a un decreto legge che permetta di superare i vincoli della Bassanini che impone al governo un massimo di 60 componenti.
Il premier vorrebbe una compagine più numerosa per concentrare il lavoro del governo in pochi giorni e lasciare spazio alle votazioni in aula. Il decreto ad hoc dovrebbe arrivare non più tardi di un mese. Non sarebbe la prima volta che un premier si concede una deroga sulla dimensione della squadra: lo fece anche Romano Prodi nel 2006. Si tratterà di un processo graduale, mediato con le altre forze di governo. Di nomi ne circolano parecchi. Per Aurelio Misiti dell’Mpa sarebbe pronto un posto alle Infrastrutture mentre per Massimo Calearo si ipotizza un incarico allo Sviluppo Economico o all’Economia. Quasi sicura una poltrona per Francesco Pionati e una per gli ex Fli. Per questi ultimi, qualora Silvano Moffa dovesse rimanere alla Commissione Lavoro, toccherebbe o a Maria Grazia Siliquini o a Catia Polidori. Saverio Romano (Pid) è sempre in pole-position per le Politiche Europee mentre è cosa fatta l’ingresso del movimento di Francesco Storace. «La Destra sarà un alleato importante per battere definitivamente chi ha rinnegato e tradito la storia e la tradizione migliore della destra italiana» scrive Berlusconi.
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