Antonio Lodetti
da Milano
Il primo brano, Cantus lamenthus, è una preghiera ipnotica che cattura lo spirito di antiche melopee africane e dello spiritual; il secondo, 27th Century Ethos, indulge allelettronica in una specie di funky jazz sperimentale. In breve è la sintesi di Divine Shadows, il nuovo cd del tunisino Dhafer Youssef, suonatore di oud (una sorta di liuto in legno a 11 corde, cinque doppie più un basso singolo, solitamente suonato con un plettro ricavato da una piuma daquila)e stella della musica etnica più creativa, quella che sconfina nellimprovvisazione e nel jazz (non a caso ha inciso col trombettista Marcus Stockhausen e ha scritto musica contemporanea per la Bbc). Da lungo tempo compagno davventure del trombettista Paolo Fresu e del chitarrista vietnamita Nguyên Lê, in contemporanea al suo lavoro solista Youssef, oggi molto di moda, pubblica in trio linteressante Homescape.
Nella sua musica cè modernità e tradizione, ricerca e radici.
«Non si possono negare le proprie radici e la propria storia. Io sono cresciuto con le antiche ballate del deserto, con i canti dei griots, ovvero i nonni dei bluesmen. Ma vivo nel Duemila e ho assorbito i suoni moderni. Devi suonare quello che sei, e per questo unire la giusta dose di presente e passato per essere al passo con lattualità e proiettarti nel futuro».
Oggi la musica etnica è di gran moda.
«Si, ma molta di essa non nasce dalla ricerca popolare, viene pianificata a tavolino. Io parto dalle origini ma cerco di mischiare cultura e novità nelle mie composizioni».
Cè molta varietà di stili in Divine shadows.
«Si, cè lo spirito del viaggio attraverso paesaggi diversi con limpegno di non perdersi mai per strada. Parto dalla preghiera Cantus lamenthus, dedicata ad Arvo Part - per me il miglior compositore contemporaneo - e proseguo avvicinandomi al jazz e alla musica totale».
Il suo album precedente si intitolava Electric sufi.
«Il sufi mi guida sulle strade della saggezza, della spiritualità e del misticismo, io lo trasformo in suoni elettrici per mantenere il contatto con la realtà e con le sue contraddizioni».
Nelle sue radici cè molto jazz, lei suona abitualmente con musicisti norvegesi.
«La scena norvegese è estremamente creativa. Non ha preconcetti di generi e stili, si può suonare con grande spontaneità.
Il rock le piace?
«Mi piacciono i Beatles ma appartengono a un mondo troppo diverso dal mio».
E Paolo Fresu?
«Mi sento il suo alter ego, siamo fonte dispirazione luno per laltro».
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