Cronache

DIAMO UN CALCIO AL CALCIO MODERNO

Non sarò mai abbastanza grato all’editore di Primocanale Maurizio Rossi e agli amici dello staff giornalistico dell’emittente più vista della Liguria, da Mario Paternostro a Vittorio Sirianni, da Maurizio Michieli a Giovanni Porcella, da Davide Lentini a Luca Russo, per la grande occasione che mi danno: che non è tanto (non solo) quella di parlare di sport e di politica in televisione, ma quella di conoscere un mondo.
Il mondo in questione è quello delle gradinate Nord e Sud ed è un mondo straordinario. Incredibilmente migliore e più sano e pulito di chi ha interesse a raccontarlo come un postaccio, dove la parola «ultras» è sinonimo di violento o di brutto sporco e cattivo. Non è così. O, perlomeno, a Genova, nella stragrande maggioranza dei casi, non è così. Certo, ci sono gli stupidi, gli idioti, quelli che urlano parole violente, quelli che mettono all’indice persone di straordinario valore colpevoli solo di dire la propria opinione o quelli che mettono in pratica comportamenti violenti. Ma ci sono in curva, così come ci sono in tribuna, così come ci sono nei media. Il mondo degli «ultras» (così come quello dei club e quello dei tifosi che, come unica tessera, hanno quella dell’abbonamento) è anche quello che si mobilita per raccogliere fondi per chi sta male e che, nel silenzio, fa più beneficenza delle istituzioni. Il mondo «ultras» è capace di dare i brividi con gesti che risentono dell’educazione sportiva data da grandi presidenti, su tutti Paolo Mantovani, che non rimpiangeremo mai abbastanza: i genoani che applaudono la loro squadra dopo la retrocessione in C (quella sul campo) contro il Siena o la Sud che domenica salutava i suoi ragazzi con gioia dopo la meritata sconfitta con il Chievo, sono scene da brividi. Emozioni allo stato puro.
Le due tifoserie, divise su tutto o quasi, hanno una battaglia comune: quella contro il «calcio moderno». E, liberi da più cupi pensieri, i doriani hanno la forza e il coraggio di esserne i paladini più forti, anche a livello nazionale. Nel «calcio moderno» c’è tutto: dalla giustizia sportiva terribilmente ingiusta con il rischio di verdetti scritti prima dei processi, all’antisportiva idea di Carraro di ripescare le squadre sulla base del blasone o del bacino di utenza, che sarebbe la morte del calcio. Ma, soprattutto, il calcio moderno sono le partite che si giocano a tutti i giorni e tutte le ore, solo per far contente le televisioni; sono i biglietti nominativi, figli di provvedimenti demagogici ed emergenziali, che non tengono conto della realtà degli stadi; sono le pay-tv e il denaro padroni del calcio.
Il nostro calcio, invece, è quello delle partite tutte alle 15 (o alle 14,30, o alle 16, a seconda della stagione); dei sani mercoledì di Coppa; del calcio fatto di tifosi allo stadio e non di animali da divano davanti alla tivù. Il nostro calcio è sudore e polvere e cori e striscioni e emozioni. Il nostro calcio non è il calcio moderno e affiancheremo sempre i tifosi in questa battaglia.


Siamo passatisti? Sognamo utopie? Se vogliamo chiamare «utopia» la Bellezza, viva l’«utopia».

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