«Diamo la regia della cultura a un manager»

L’editore milanese è convinto che la città non può più vivere solo di «conservazione». Per l’Expo, fondamentale il ruolo delle Università. Bene il sindaco Moratti

Stefano Mauri, classe 1961, milanese, è presidente ed amministratore delegato del gruppo editoriale Mauri Spagnol (Longanesi, Garzanti, Vallardi, Guanda, Corbaccio, Tea, Nord, Salani, Ponte alle Grazie, Pro Libro). Il gruppo editoriale Mauri Spagnol (G.e.m.s) prende il nome dei due fondatori: nato a Milano nell’ottobre del 2005, è frutto della rinnovata intesa tra le due famiglie editoriali.
Milano Expo 2015: quale sarà il percorso vincente?
«Il primo problema è quello delle comunicazioni tra i punti nevralgici dell'Expo ma anche tra Milano e il suo territorio, del quale il comune, di estensione limitata e anacronistica, è soltanto il centro. E un altro problema da risolvere sono i collegamenti internazionali, quindi Malpensa»
Dalla Kermesse milanese usciranno progetti innovativi per l’ambiente?
«Milano è anche il punto di riferimento mondiale del design e del mobile. Ci sono buone università. In questo senso l'evento non mancherà di esercitare un forte richiamo su settori strategici come il risparmio energetico, l'uso dei materiali riciclati e la riduzione dell'inquinamento».
L’ evento potrà cambiare anche il rapporto della città con la cultura?
«La città ha già un buon rapporto con la cultura. Più però per iniziativa privata delle imprese culturali che vi hanno sede. Essendo imprese rivolte al mercato nazionale, ne sfugge spesso la dimensione locale. Certo, ci vorrebbe una grossa personalità che si occupasse solo di questo, della regia generale dell'evento, oltre all’ordinaria amministrazione, perchè il sindaco ha ben altro a cui pensare. Una figura del genere otterrebbe tre risultati: svolgerebbe al meglio questo ruolo dedicato, darebbe all’iniziativa il segno ecumenico che merita e forse aiuterebbe la politica a capire meglio la questione settentrionale».
Secondo lei che ruolo avranno le personalità del nostro mondo accademico, anche in sede di programmazione dell’evento?
«Credo che dipenderà molto dal livello di coinvolgimento. Ma se si riferisce alle personalità locali, rispondo che saranno tanto più valorizzate e arricchite quanto più si farà riferimento anche alle personalità internazionali nei diversi campi. La grande capacità di questa città è proprio quella di metabolizzare “l'altro“. Nel caso specifico e in questa dimensione globale, Milano può e deve attingere al mondo.
Cosa pensa del sindaco?
«Ho stima del sindaco, perché l'ho vista in passato fare scelte che riteneva doverose anche se evidentemente impopolari. Fin da quando, come presidente della Rai, non comprò i diritti per il calcio o quando tentò di riformare la pubblica istruzione o ancora con l'introduzione dell'eco-pass. Un coraggio assolutamente non comune in politica. Non ho condiviso tutte le scelte, ma seguivano una logica e non erano dettate da demagogia».
Torniamo alla cultura...
«Per dirigere la cultura a Milano ci vuole una persona adatta e dedicata. Un manager culturale è una figura antropologicamente diversa da un amministratore. La cultura ha bisogno di rigore: è sbagliato pensare che possa scaturire dall'assenza di regole, ne ha anzi bisogno per creare. Ma ha anche bisogno di un po' di libertà, di trasversalità, di immaginazione e a volte deve tradire il senso comune. La cultura a Milano è ripiegata da vari anni sulla conservazione.

Ma se non si producono anche eventi innovativi, la gente tende a dimenticarsi cosa si conserva. E bisognerebbe fare questo esercizio senza adagiarsi sulla gloria della Scala. Ci può essere anche dell’altro. E spero che anche gli editori vengano coinvolti.

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