«Non sono uno storico, ma un diligente e quotidiano cronista», dice Giulio Andreotti nella prefazione al suo ultimo libro 1949. Lanno del Patto Atlantico (Rizzoli, pagg. 192, euro 16) che è un suo diario di 57 anni fa, quando aveva 30 anni. È il terzo volume di un trittico. I primi due sono 1947. Lanno delle grandi svolte nel diario di un protagonista e 1948. Lanno dello scampato pericolo (usciti lo scorso anno, sempre da Rizzoli). Vien da chiedersi se Andreotti abbia continuato a tenere sistematicamente il suo diario da allora a oggi. Se così fosse saremmo in presenza di una monumentale raccolta di memorie dellItalia repubblicana di grande valore storico. Il «divo» Giulio è egli stesso un pezzo raro di storia. Cominciò a vivere la storia repubblicana con De Gasperi nel 46. Una vita, che continua mirabilmente, dotato tuttora di grande intelligenza politica e soprattutto di una lucidità intellettuale stupefacente.
Il triennio 47-48-49 è stato in effetto il più decisivo per lItalia del secondo Novecento: la scelta repubblicana, la sconfitta delle sinistre e la prevalenza dellItalia moderata il 18 aprile 48, e nel 49, dopo il disastro bellico, lentrata dellItalia nel circuito internazionale con ladesione al Patto Atlantico, risultato di un delicato lavoro diplomatico e politico di De Gasperi, coadiuvato dal ministro degli Esteri, Sforza e dallambasciatore a Washington, Tarchiani.
Non cè dubbio, il 1949, anno cruciale, fu linizio di un capitolo storico importante per lItalia, che entrò nella Nato riuscendo a superare le diffidenze di alcuni Paesi, fra cui la Gran Bretagna. Ostacoli ne vennero anche dalle posizioni pacifiste e neutraliste presenti tra le forze di governo, soprattutto fra i cattolici (Dossetti, per esempio), oltre alla forte opposizione delle sinistre. Dovevano passare quasi quarantanni per avere con Berlinguer il riconoscimento dellimportanza dellombrello atlantico. Cè un inedito interessante in questo diario andreottiano: durante il dibattito alla Camera sul trattato («scelta storica», disse De Gasperi), nei sotterranei di Montecitorio stazionò un reparto di carabinieri. «Non si sa mai - annotò Andreotti -. Solo per la difesa del Parlamento, ovviamente».
Un anno inquieto internazionalmente, il 1949, ma anche sul fronte interno. A settembre ci fu lesplosione della prima bomba atomica sovietica, sicché si stabilì il cosiddetto «equilibrio del terrore», che accentuò, è vero, la «guerra fredda» tra Est e Ovest ma contribuì a evitare lo scontro tra le due superpotenze, che si scontrarono invece indirettamente in diverse zone del pianeta (Corea, Vietnam, Cuba, Medio Oriente, Africa).
In Italia fu il caso-Sicilia a movimentare lo scenario politico. Nel diario di Andreotti più volte vengono citati il bandito Giuliano e gli scontri con le forze dellordine. Significativa questa nota del diarista: «Unaltra crocetta nellalbo delle vittime di Giuliano: il carabiniere Vincenzo Supuppo. Fino a quando?». Come in un film si dipana in questo diario la cronaca di quegli anni tormentati, fatti di drammi ma anche di speranze: la tragedia di Superga, le vittorie di Bartali e Coppi, il caso Brusadelli (unevasione fiscale per 15 miliardi), il prezzo del giornale di sei pagine a 20 lire, la fine del razionamento di pane e pasta, luscita de Il Mondo di Pannunzio (De Gasperi telefonò per congratularsi, nonostante, annota Andreotti, il giornale non fosse tenero con la Dc), le polemiche per la riforma agraria (annotati gli editoriali avversi di Rusticus sul Corriere), Scelba che alla Camera parla di «culturame» («un termine infelice», commenta il diarista), la scoperta di un giacimento di metano a Cortemaggiore, le dure critiche di don Sturzo a Enrico Mattei, che con lEni finanziava la corrente di Base della Dc, Paolo Bonomi che dà vita alla Coltivatori Diretti, una organizzazione che ebbe gran peso nella raccolta di consenso per la Dc.
Non cè fatto o personaggio che sfugga alle note andreottiane.
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