Diario di un paparazzo acrobata

Intervista a Massimo Sestini, fotografo delle missioni impossibili: "Non ho paura di nulla. Ma sono timido". Lo scatto a cui tiene di più? "Il funerale di Papa Wojtyla". E racconta: "Lambert mi ha fatto picchiare, ho immortalato anche i pugni"

Diario di un paparazzo acrobata

Milano - Estate 2005, nel giardino del Four Seasons Hotel un uomo sorride compiaciuto ai fotografi nel lusso posticcio di Sharm el Sheikh. È Naguib Sawiris, il nababbo egiziano che ha appena comprato la Wind. Dove passa lui la gente si inchina. Succede quando vivi in un palazzo dalle cupole d’oro e sei l’uomo più ricco d’Egitto. Anche i fotografi italiani si tengono a distanza di rispetto, tranne uno: si chiama Massimo Sestini e sta cercando di ficcare un cellulare in bocca allo sbigottito pascià dei telefonini, per scattargli una foto stile «morso alla medaglia».

Qualche mese dopo su Panorama pubblica la foto di un avvizzito Elton John che sta salendo sul palco del concerto di Roma, momento in cui è vietato riprenderlo, sulla faccia c’è una smorfia di lesa maestà che dice: «Ma chi è questo bastardo?». Il bastardo è Sestini. Il paparazzo acrobata si è nascosto in una cassa, è balzato fuori e ha scattato, scattato, scattato.

Sestini, si rende conto di essere una spina ficcata dove duole di più per molti Vip?
«Diciamo che a volte la gente non capisce il mio lavoro».

E qualche volta hanno cercato di spiegarglielo col linguaggio del corpo...
«Una volta, a Sanremo ho incrociato Christopher Lambert al bar, in una pausa di relax. Lui non ha gradito e mi ha sguinzagliato contro la sua guardia del corpo».

Ecco, appunto.
«Mi ha dato un pugno sull’obiettivo, è finita con la mia faccia coperta di sangue».

E lei che ha fatto?
«Non ho smesso di scattare, ho tutta la sequenza del pugno che arriva contro la macchina».

Ok, lei è pazzo. Ma ammetto che la definizione paparazzo le va stretta: ha documentato i più importanti fatti di cronaca.
«Uno dei servizi che mi ha emozionato di più è stato quello del funerale di Papa Wojtyla dall’alto. Sono stato l’unico fotografo autorizzato a sorvolare Roma, nonostante le precauzioni anti terrorismo per la presenza di cinquanta capi di Stato».

Chi ha corrotto?
«Ho solo convinto la polizia che avere le foto di un professionista sul proprio sito conveniva anche a loro».

Le foto dall’alto sono una sua specialità. Quelle che ha scattato a Capaci sono davvero impressionanti.
«Sono fra quelle a cui tengo di più. Scappai a Palermo appena saputa la notizia. Volevo uno scatto unico, che nessun altro avrebbe potuto avere. Capii che c’era solo quella possibilità: scattare dall’alto un’immagine in cui si vedeva il cratere causato dallo scoppio del tritolo. La polizia mi rifiutò il sorvolo. Allora andai all’aeroporto privato di Boccadifalco e convinsi un tipo a farmi volare sopra il luogo dell’attentato. Mi è costato un milione di lire, ma ne è valsa la pena».

Nell’ambiente lei è celebre, ma continua a fare anche foto di matrimoni.
«Be’, sì. Se possono fruttare. Ho fatto un servizio per le nozze blindate di Nelly Furtado e anche in questo caso ho scelto le foto da un elicottero».

Non bada a spese.
«Spesso riesco a ottenere “passaggi” da velivoli delle forze dell’ordine. Per Nelly Furtado ho noleggiato l’elicottero. Per 3.500 euro».

E poi ci sono i servizi posati. Lì lei rivela una fantasia un po’ perversa.
«Anni fa feci un servizio fotografico a Bobo Vieri, che allora era il calciatore più pagato del mondo. Lo convinsi a farsi fotografare mentre si accendeva un sigaro con una banconota da cento euro».

Il calciatore miliardario che rinuncia alla finta umiltà. Ma i cento euro chi ce li ha rimessi?
«Io».

Commenti in proposito?
«No comment».

Saltiamo dal palo dei Vip alla frasca della cronaca. Nel 1991 lei è stato l’unico a salire a bordo del traghetto Moby Prince in fiamme al largo di Livorno. Una tragedia in cui sono morte 140 persone. Come ha fatto?
«Ho detto una piccola bugia».

Quanto piccola?
«Ho raccontato ai sommozzatori dei vigili del fuoco che ero l’inviato del centro di documentazione della Presidenza del consiglio e che erano obbligati per legge a permettermi di fare le foto. Alla fine mi hanno buttato su un canotto insieme a loro».

Lei fa anche cose piuttosto pericolose.
«La più rischiosa è stata legarmi a una guida alpina che si lanciava col parapendio e farmi calare in hovering dall’elicottero su una cima del Monte Rosa, per fotografare le guide in scalata».

Mi pare di intuire che lei non soffre di vertigini. Di cosa ha paura?
«Di niente. Però sono timido. E proprio per questo mi lancio in imprese pazzesche. È una terapia».

Cosa non farebbe per scattare una foto?
«Tradire la mia coscienza».

Fingo di crederle, ma sento odore di zolfo. Secondo me lei è come i pistoleri, intanto spara, poi si vedrà.
«Certo, la prima regola è seguire l’istinto e scattare. Le riflessioni etiche si fanno in camera oscura, una volta, e ora al computer. Una volta ho fotografato una ragazza che usciva dall’aula di tribunale dove aveva testimoniato al processo sullo stupro subito. Allora non c’era la legge sulla privacy, ma l’ho scartata. Andava bene anche uno scatto di spalle».

E la privacy dei personaggi?
«Anche per loro c’è più tutela. Oggi non potrei far pubblicare le foto scattate a Pippo Baudo ricoverato in ospedale per un piccolo intervento, diciamo in una zona sensibile del corpo. Spalancai la porta della camera e scattai. Che fuga! Mi inseguiva tutto l’ospedale».

Ma se dopo questo articolo lei diventa famoso, e

domani un paparazzo si cala dall’elicottero nel suo giardino di casa mentre lei è in intimità con sua moglie, lei cosa fa Sestini?
«Cosa vorrebbe che facessi... Mi toccherebbe stare al gioco. Direi: Cheese».

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