Paolo Giordano
Certo che quando un sessantatreenne con la camicia di seta - sintende un sessantreenne che ha fatto e disfatto i Beatles e che ora sul colletto ha un nonnesco doppio mento - si siede a spiegare le sue nuove canzoni, lui che è Sir Paul e ha un patrimonio di 790, dicesi settecentonovanta, milioni di sterline e per spiegarsi mica fa solo interviste ma pubblica un dividì allegato al nuovo ciddì (solo nelledizione limitata), allora quando il sessantatreenne incamiciato dalla gloria inizia a mitragliare un orgoglioso «you know» dietro laltro, e you know sta per «capito?», vuol dire che Chaos and creation in the backyard è un disco di quelli che non si butta via nulla perché dentro non ha soltanto idee - quelle ormai le hanno tutti, belli e brutti, lidea nessuno sa più cosè e quindi ce lha chiunque - ma racchiude desiderio e passione e soprattutto ciò che sopra i venticinque anni è vietato peggio del calzino bianco, cioè la capacità di rimettersi in gioco.
E quando uno è da quasi mezzo secolo il banco del gioco, ossia non punta quasi mai ma alla lunga vince quasi sempre, può scegliere se fare solo soldi (un ex Beatle guadagna anche stando in vacanza) oppure fare soldi nuovi e meritati e così mettersi alle costole un produttore giovane e quasi calvo, un Nigel Godrich che è il Jean Todt di Radiohead e Travis, un tizio che ti dice «questo sì, questo no» come se fossi un pivello e quando stai per buttare via una registrazione «perché cè una nota sbagliata» lui ti ordina «riascoltala meglio» e da lì nasce la sgarzolina Fine line, che è il primo singolo di questo ciddì umile, perché fa dei suoi limiti un pregio, e umiliante perché pochi altri, oggi, avrebbero voglia di suonarsi tutti gli strumenti da soli e mica solo i banali bassochitarrabatteria ma pure le maracas o il triangolo o il violoncello.
E così, visto che «Cè una linea sottile/ tra avventatezza e coraggio» (da Fine line), bisogna scegliere lavventatezza di avere coraggio e fare come si fa con i nipotini: raccontare, mescolare la vita propria e altrui anche se fa schifo, scrivere una canzone come Friends to go che sembra una piagnucolata malinconica per sessantenni benvissuti ma è lomaggio più grande a George Harrison («Ti aspetterò dallaltra parte»), godere delle parole vecchie che sanno di tradizione come nella pensierosa How kind of you («how kind of you» sta per «grazie molte» ma gli ultimi a dirlo furono gli ingessati archivisti di Buckingham Palace) o fare di A certain softness una canzone damore pressoché brasileira ma cantata come tra le case rosa di Saint Tropez quando cera BiBì e non il Nikki Beach. E così, se a Paul McCartney viene la fregola di raccontare, non raccontare qualcosa ma raccontare e basta, tra toni andanti e solipsismi nostalgici, allora il ventaglio si allarga da Charles Dickens, di cui in Jenny Wren Macca va a pescare lorrida giocattolaia della sua ultima novella, ad addirittura Charlie Chaplin, che girò La contessa di Hong Kong quando i Beatles erano già con la testa lì vicino, in India, ma compose la strabiliante Smile mentre Macca era ancora seduto al banco di scuola.
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