Alessandro M. Caprettini
nostro inviato a Bruxelles
Adesso che finalmente si è aperto il gioco, non son pochi a mettere le mani avanti. «Il sì alla Turchia? L'ingresso non è garantito né automatico, e il negoziato sarà lungo e difficile anche se deve essere equo», comunica burbero da Londra Josè Durao Barroso, dove era al fianco di Blair e Putin per una sessione di lavori Ue-Russia. Anche l'inquilino di Downing Street, che pure è stato tra i più efficaci sponsor di Erdogan, dice di «capire» le preoccupazioni che circolano nel Vecchio continente per allargare i confini comuni fino all'Anatolia e si limita ad osservare l'importanza «del rispetto degli obblighi» messi nero su bianco a Lussemburgo e validi per tutti i contraenti.
Sono tante, in buona sostanza, le regole d'oro che dovranno esser rispettate per l'adesione turca che, nel migliore dei casi, non avverrà prima del 2014. Intanto, come rammentava Barroso, il negoziato resta aperto: non implica cioè una automatica accettazione. Ancora, è previsto che per «gravi e continue violazioni» da parte turca su un numeroso elenco di temi il dialogo possa essere bruscamente interrotto. Ancora, c'è la questione cipriota sulla quale si reclama «un proseguimento degli sforzi per un regolamento globale» delle relazioni e «ulteriori progressi nella normalizzazione del rapporto bilaterale». Poi ci sono procedure da verificare attraverso continui screening da parte di Bruxelles. E infine, c'è la rielaborazione del capitolo «capacità di assorbimento» che ieri Vienna ha fatto passare per un suo successo per cui, una volta rispettati tutti i paletti l'Europa si interrogherà se può accogliere i 100-120 milioni di turchi o se non sarà il caso di rinviare l'appuntamento nel tempo.
Insomma di tagliole ce ne sono parecchie, fanno capire i leaders della Ue mentre, come osserva il commissario alla concorrenza, il finlandese Olli Rehn, «le preoccupazioni legittime degli europei devono esser bilanciate con i vantaggi per gli indirizzi strategici dell'Unione, specie in tema di stabilità e sicurezza».
Eppure tanto le mani avanti che gli inviti a guardare più in là, ai benefici che possono venire dall'intesa con Ankara, non paiono convincere più di tanto. Non solo nei territori dei 25, ma anche a Bruxelles dove, ad esempio, l'Europarlamento non è per nulla soddisfatto che non ci sia una riga sull'eccidio di armeni e curdi. E dove persino un azzurro come il vice-presidente dell'aula Mauro trova che la Turchia si nasconda ancora dietro «troppe ambiguità», chiedendosi se non andrà a finire «più che con una Turchia più evoluta, con una Europa più rassegnata».
Si spaccano orizzontalmente le grandi famiglie politiche continentali. A sinistra c'è chi esulta ma anche chi lancia segnali allarmati. A destra accade lo stesso. Josep Borrell, lo spagnolo presidente dell'Europarlamento, ieri da Nicosia, a Cipro, chiedeva l'abbattimento dell'ultimo muro d'Europa. Ma se a Famagosta sarebbero anche disponibili, sulla costa turca le orecchie son rimaste tappate. In Italia, alla soddisfazione di tanti s'accoppia l'irritazione dei leghisti - pronti a chiedere un referendum e, come detto da Maroni «decisi ad opporsi con ogni mezzo» - ma anche la perplessità dell'ex-ministro per i rapporti con la Ue e mancato commissario a Bruxelles Rocco Buttiglione. Il quale, ricordato come i referendum sull'ingresso della Turchia «diano ad oggi prognosi infauste», nota come sarebbe meglio non sottovalutare gli ostacoli ancora sul terreno: «Vanno considerati subito sennò ci si sbatte contro».
Niente polemiche invece sulla ripresa dei negoziati con la Croazia il cui presidente Mesic spera a questo punto in un ingresso nella Ue già nel 2008.
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