Uscire dall'euro è un errore. Uscire dalla neuro è una fortuna. Ci teniamo volentieri la moneta unica, ma buttiamo a mare con sollievo dieci anni di follia unica. Dieci anni in cui non era possibile pronunciare la parola Europa senza accompagnarla dagli osanna. Dieci anni in cui il termine Europa era di per se stesso sinonimo di virtù, e guai anche a trovare il più piccolo difetto alla solenne impalcatura. Se lo facevi, venivi messo all'indice come Al Capone a una riunione di chierichetti.
Adesso è bello leggere il direttore della Repubblica Ezio Mauro che parla di «europeismo senza politica e senza passione costruito come un meccano di regole interne ed esterne». O gli editorialisti del Corriere della Sera che parlano di «costruzione elitaria e tecnocratica qual è l'Europa» chiedendosi se potrà mai «diventare democratica». E, dunque, dando per scontato che democratica l'Europa non l'è mai stata. Verrebbe soltanto da chiedersi: dove sono stati finora?
Quello che c'è di buono nella doppia scoppola franco-olandese è che ha risvegliato anche gli intelletti più pigri. E adesso diventa per tutti difficile rifugiarsi dietro il totem di Bruxelles. Ma è possibile che la costruzione elitaria e tecnocratica la scoprano solo adesso? C'è un episodio significativo che è rimasto nascosto nelle pieghe della storia spicciola dell'Ue. Un giorno, quando Prodi era presidente della Commissione europea, andò in Belgio per una cerimonia pubblica. E il telecronista della Tv pubblica lo presentò: «Ecco, sfila il presidente del Portogallo...». Ne nacque un piccolo caso, interrogazioni, interpellanze. Prodi dovette ammettere: «È vero, non mi riconoscono mai...».
Ecco: un'Europa che non riconosce il suo presidente come può essere democratica? E, più in generale, come si può pensare che i cittadini sentano propria un'istituzione che produce inutili dossier al ritmo di quattro pagine al minuto, dove per ottenere un finanziamento alla coltivazione del tabacco bisogna superare 159 passaggi, dove si discute per dieci anni per stabilire che il cetriolo per essere un cetriolo deve «disegnare un arco di 10 millimetri»? Come si può dire sì a un'Europa dove per definire un uovo al tegamino si spendono 26.900 parole e dove per sapere se un lupino è dolce non basta assaggiarlo, ma bisogna elaborare la «prova di amarezza dei lupini» facendo ricorso al «metodo scientifico elaborato da Von Sengbusch, Ivanov e Eggerbrecht tra il 1939 e il 1947»?
Sembrano scherzi, ma non lo sono. Tutte leggi, norme europee, vidimate e timbrate. È il motivo per cui vengono pagati (strapagati: l'archivista prende già 5mila euro al mese, un direttore generale 15mila) schiere di euroburocrati, circa 30mila, sparsi nelle varie sedi, dove per altro ogni anno si compiono nuovi lavori perché non è possibile andare al Parlamento europeo se non ci sono piscine, sale meditazione e naturalmente l'immancabile campo da squash. Com'era possibile che un'Europa così fosse considerata democratica? Com'era possibile pensare di poterla far sopravvivere a forza di comitati e supercomitati che spesso nascondono soltanto gettoni da passare a parenti e amici? Quando dovevano stabilire la differenza tra whisky e cognac gli esperti dell'Ue si sono riuniti in conclave per sei mesi. Appena usciti hanno annunciato: i superalcolici sono stati classificati. Sembrava li avessero bevuti.
Sia chiaro: accogliamo con soddisfazione i fratelli pentiti che fuoriescono dalla sbornia europeista. Siamo lieti che anche loro, i principini della sinistra politicamente corretta, si rendano conto che c'era un «europeismo senza passione», che l'Europa è «elitaria e tecnocratica», e che ai cittadini tutto questo non va giù.
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