Luciano Gulli
Come l'anno scorso, dopo gli attentati di Sharm, l'intelligence egiziana batte la pista del deserto, quella che passa attraverso le complicità dei clan beduini pronti a tutto in cambio di una valigetta di dollari. È di lì, se è vero che le bombe sono opera di kamikaze, che i corrieri della morte sono passati. Che almeno tre attentatori si siano immolati a Dahab (non dunque bombe azionate a distanza, come si diceva ieri l'altro) è una convinzione avvalorata dalle dichiarazioni del direttore sanitario dell'ospedale locale. «Stiamo ricomponendo i cadaveri di tre arabi - ha detto il responsabile dell'ospedale - e dalle ferite riscontrate sui corpi pare che le bombe gli siano proprio esplose addosso».
Diciotto i morti, e 71 i feriti, compresi i tre italiani arrivati ieri sera all'aeroporto di Ciampino, sono il bilancio definitivo di una strage le cui dimensioni, all'inizio, sembrava dovessero essere assai più drammatiche. Segno, probabilmente, che qualcosa nella logistica degli attentatori non ha funzionato a dovere.
Secondo il generale Elkana Har-Nof, direttore dell'ufficio antiterrorismo del premier israeliano Olmert, il Sinai resta uno dei principali obiettivi della rete terroristica legata ad Al Qaida. «Ogni milione di turisti genera 200mila posti di lavoro - ha detto Har-Nof intervistato dalla radio militare israeliana-. E il benessere che il turismo diffonde all'interno della società egiziana è evidentemente inconciliabile con il disegno eversivo dei terroristi».
Unanime, naturalmente, la condanna espressa dalla comunità internazionale. Al coro (e il significato politico della presa di posizione non è certo di secondaria importanza) si è unita anche la leadership di Hamas, che ha condannato senza mezzi termini l'attentato.
Dahab e i villaggi beduini che le fanno corona sono ancora sotto la lente d'ingrandimento dei servizi di sicurezza egiziani che lavorano di conserva con gli 007 israeliani. Dieci le persone fermate fino a questo momento. Tre di questi sono tecnici informatici egiziani originari del Cairo arrivati nella cittadina del Mar Rosso il giorno prima dell'attentato e ripartiti quindici minuti dopo le tre esplosioni nel centro di Dahab. «Moumen Farouk Mohammad, Ali Karim Achraf Abdallah e Majed Ali Mahmoud (i nomi dei tre fermati) sono arrivati a Dahab a bordo di una vettura con un numero di targa diverso da quella che guidavano quando hanno lasciato la città», ha detto una fonte dei servizi di sicurezza. I tre sono stati arrestati sulla via del ritorno a un posto di blocco nel centro della penisola del Sinai. Tutti avevano dei falsi documenti di identità e uno di loro era ferito al naso».
Altri tre arabi che si erano infiltrati in Israele passando lungo una pista beduina che lambisce il territorio di Dahab sono stati arrestati dalle forze di sicurezza israeliane e sono attualmente sottoposti a stringenti interrogatori. Il pericolo che alcuni elementi della "cellula" che ha agito a Dahab siano ancora in circolazione nel Sinai e stiano progettando una seconda ventata di attentati ha intanto indotto le autorità di Tel Aviv a diramare un avviso rivolto ai molti turisti israeliani ancora presenti sul territorio, invitandoli a rientrare al più presto. «Un altro attentato è già in fase di organizzazione», hanno detto alla radio militare fonti del Lotar, l'ente israeliano preposto al monitoraggio del terrorismo nel mondo.
Meta popolare per centinaia di migliaia di turisti stranieri, la costa del Mar Rosso è da anni uno dei pilastri dell'economia egiziana. Colpire qui, per gli affiliati al network di Osama Bin Laden, ha dunque una duplice valenza: colpire il filoamericanismo del presidente Mubarak e destabilizzare il Paese nel tentativo di attrarlo nell'orbita fondamentalista.
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