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Diecimila euro per un sì: la grande truffa delle nozze combinate

Gli stranieri offrono soldi per avere la cittadinanza. A Prato matrimonio interrotto dai carabinieri sull’altare. Indagini a tappeto sui matrimoni misti, ma sei casi su dieci non vengono smascherati

Diecimila euro per un 
sì: la grande truffa 
delle nozze combinate

Avevano preparato tutto di fretta, l’appuntamento era fissato per ieri mattina in comune: sala matrimoni. I patti erano chiari. Lei e lui trent’anni a testa. Stessa età con problemi completamente diversi. Lui in cerca di un permesso di soggiorno per non tornare a casa in Pakistan, lei, fiorentina, con un lavoro precario e bisogno di soldi. Si incontrano e si accordano. I testimoni lui non fa fatica a trovarli. Ieri si sono presentati in sei per paura che qualcosa potesse andare storto. Lei un paio di parenti, mamma compresa per dare più naturalezza alla cosa. Avrebbero dovuto fare una cosa veloce. Come sbrigare una formalità. Una promessa per finta, una truffa. Costa fino a diecimila euro dire sì. Un vestito elegante per entrambi, un paio di fedi di non troppo valore, la formula di rito del sindaco, il «qualcuno parli ora o taccia per sempre», un «sì» come per sbrigare una formalità e tante carte da firmare e fine del discorso. Mancava ancora l'ultimo sì quando gli agenti del Commissariato di Sesto Fiorentino sono entrati nella stanza e hanno bloccato tutto. Fine di un sogno svenduto per pochi euro. Il matrimonio infatti, una volta celebrato, sana ogni posizione del clandestino e a nulla serve se si dimostra un’autentica farsa. Decisivo, in questi casi, l’apporto dell’Ufficio Immigrazione che garantisce l’espulsione in modo tempestivo dello straniero irregolare, contribuendo così alla efficacia dell’azione dei Commissariati.
È stato il Comune a segnalare alla polizia che qualcosa non andava, subito dopo la richiesta di pubblicazione delle nozze. Il pachistano, oltre al passaporto, non aveva il permesso di soggiorno. È bastato qualche accertamento e da lì è partita l'idea di organizzare il blitz. Obiettivo: fermare la truffa prima dello scambio degli anelli. Questo matrimonio, davvero, non doveva essere celebrato. Quando gli agenti sono arrivati si sono trovati all’interno della sala allestita per il rito altre 10 persone, di cui sei cittadini pachistani, tutti con permesso di soggiorno, ed alcuni familiari della donna. L’uomo, a cui carico non sono emersi precedenti penali, è stato portato a Milano per ulteriori accertamenti. Il colpo non è riuscito. Ora per lui non ci sono altre alternative che l’espulsione. Il ritorno in Pakistan ormai è inevitabile. Il piano per loro è fallito.
Ma non a tutti va così male. Sfuggono al controllo, nonostante il giro di vite registrato in queste ultime settimane in diverse città italiane. I matrimoni misti combinati, chiesti per interesse, per ottenere la cittadinanza in cambio di denaro, in sei casi su dieci non vengono scoperti. Sono i dati più recenti diffusi dall’Ami, l’Associazione matrimonialisti italiani. I matrimoni misti si sono triplicati in dieci anni, eppure la vita coniugale di tre coppie miste su quattro si chiude con un fallimento. Segno evidente di quella truffa iniziale con cui era iniziata.
Proprio in questi giorni la squadra mobile di Firenze ha avviato accertamenti con l’Ufficio immigrazione della questura su una decina di casi di sospette nozze di convenienza combinate tra giovani stranieri clandestini e anziani italiani, dopo quelle scoperte per tempo circa un mese fa a Impruneta, in provincia di Firenze, dopo la richiesta di pubblicazioni di matrimonio tra un clandestino albanese di 31 anni e una donna di 61 anni. In questo caso l’età ha ovviamente aiutato gli agenti a smascherare la truffa di fondo. In altri casi è bastato fare domande semplici ed elementari ai fidanzati per scoprire il marchingegno architettato. Ad agosto a Modena gli agenti si sono presentati un attimo prima del fatidico «sì». La scena sempre la stessa: un paio di testimoni e la coppia pronta a firmare carte e documenti. Al futuro sposo nordafricano una domanda a bruciapelo: «Come si chiama la sua fidanzata?». «Non lo so». Onestà toccante. Gli agenti della questura hanno ripetuto la domanda altre tre volte per tre giorni di seguito. Ed è finita sempre nello stesso modo: hanno arrestato la coppia, portato al commissariato lui per preparare le carte per l’espulsione immediata. Quella volta le donne appartenevano tutte ad un clan di sinti, nomadi con la cittadinanze italiana.

Quella volta finto anche l’anello: il nome della sposa diverso e con la data di due anni prima.

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