Fabrizio Aspri
da Roma
Quattordici anni dopo. Per rivivere un’altra finale, contro la stessa avversaria, tra le mura del medesimo stadio. Un ponte, virtuale e ricco di ricordi, unisce la storia di Bruno Conti al duello con l’Inter. Già, perché le due pretendenti, un trofeo da brividi, se lo sono già conteso il 22 maggio del ‘91, nella cornice della finale di ritorno di coppa Uefa. Tempi lontani, altra posta in palio e un epilogo - il successo dei nerazzurri - che spinge ad incrociar le dita. Allora, a pochi mesi dalla scomparsa del presidente Viola, la Roma non riuscì a riporre in bacheca un trofeo tanto desiderato. E così, a pennellare il cielo della capitale con i colori dell’ottimismo, spettò sempre a Conti che in poche ore riuscì nell’impresa di riportare emozioni laddove, il giorno prima, avevano preso il sopravvento lacrime e interrogativi. Il suo “addio” al football, vissuto col cuore in gola, servì ad accantonare un’eliminazione amara. Un’iniezione di fiducia che, una settimana più tardi, avrebbe spinto la Roma ad aggiudicarsi la finale d’andata della coppa Italia grazie ad un secco 3-1 imposto alla Sampdoria e valso, a conti fatti, il trofeo made in Italy. «Dopo la conquista della salvezza e di un posto Uefa - spiega Conti - la coppa Italia è il nostro obiettivo. Sarà un match spettacolare». In un Olimpico che registrerà il tutto esaurito.
Il coach non ha sciolto i dubbi: sarà Totti ad orchestrare l’attacco al fianco di Montella e Cassano, oppure si tornerà al classico 4-4-2 con l’esclusione di uno dei tre talenti? «Se ho paura di schierare il tridente? Nel nostro vocabolario non esiste questa parola». Un messaggio in codice. Che sembra mantenere vive le speranze di poter ammirare la “trazione anteriore”. «A Montella la pausa è servita. Cassano è in grandissima forma, Mancini è caricato a dovere e Totti non salterebbe il ciak per nulla al mondo». Sorride Brunetto e ne ha ben donde. In casa-Roma è tempo di annunci e lui, per non esser da meno a dirigenti e operatori, riserva ai cronisti una sorpresa da mille e una notte. «Vi presento un nuovo acquisto», ironizza. Il tempo di lanciare uno sguardo alla porta ed ecco apparire il mito del calcio: Maradona, a Roma per un’iniziativa benefica. «Torno a Trigoria a distanza di quindici anni dal mondiale del ’90 - ricorda - quando questo centro ospitava la mia Argentina. Voglio salutare Bruno, per noi è stato un riferimento. Disputò una kermesse da favola. Un vero campione e una grande persona. Voglio ringraziare Cufré, Totti e Cassano: insieme faremo beneficenza». Il talento del barese merita approfondimenti e investiture. E Maradona è pronto ad incoronarlo suo erede. «Mi è sempre piaciuto - confessa - e ha dei colpi incredibili, migliori dei miei. Ora che il calcio è più veloce, è difficile imporsi: lui c’è riuscito. Deve solo capire la sua strada ed essere rispettato dai compagni».
Frasi destinate a lasciare il segno. Come quelle di Leonardi, dg dell’Udinese, tornato ieri a parlare del tema-Spalletti. «Non abbiamo trovato l’accordo con l’allenatore, quindi rimane il contratto in essere». Poche frasi, utili per sintetizzare l’incontro andato in scena ieri nella sede friulana, tra l’allenatore corteggiato dalla Roma e il dirigente della società. Continua il braccio di ferro, quindi, causato da un contenzioso economico: Spalletti vuole ricevere il premio Champions, Pozzo non intende riconoscerlo e punta ad Aquilani. Capitolo mercato. La Roma corteggia Mauri, centrocampista dell’Udinese, mentre sfuma l’ipotesi Placente, resta vivo l’interesse per Pizarro, rimane inalterata l’intenzione di cedere Cassano, Mancini e Dacourt e prende corpo la trattativa che porta a Ramè, portiere del Bordeaux.
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