Dietro l’attentato ora spunta l’ombra di Al Zarqawi

La scelta: ancora l’Egitto. L’obiettivo: sempre i turisti. E i tempi scelti per agire. Che per gli 007 portano tutti alla stessa mano

Diana Alfieri

da Roma

La dinamica di esecuzione dell’attentato di Dahab, oltre a confermare l’allarme lanciato nei mesi scorsi sulla pericolosità della zona del Sinai, ripropone con forza la strategia delineata sia da Osama Bin Laden che dal giordano Abu Mussab al-Zarqawi finalizzata ad espandere gli attacchi terroristici dall’Irak all’intera area mediorientale, con particolare riferimento all’Egitto, terra dove l’integralismo dei Fratelli Musulmani sta creando seri imbarazzi al governo filo-occidentale di Mubarak. Analizzando le modalità con le quali i terroristi hanno eseguito le tre esplosioni a Dahab, la Cia e i Servizi mediorientali collegati, hanno evidenziato tre direttive fondamentali.
Per prima cosa va monitorata la «filosofia» con la quale si muove il gruppo terroristico in questione. L’obiettivo della direzione di Al Qaida è quello di colpire il nemico più lontano, che sono gli Stati Uniti, e quello più vicino, rappresentato in parte dal dirimpettaio israeliano (di competenza delle milizie kamikaze palestinesi) e soprattutto dal governo del Cairo. Si tratta di una filosofia utilizzata già da Ayman al-Zawahiri, egiziano di nascita, che si ispira a quella formulata nei primi anni di vita della Jama'a islamiya egiziana. Questo prova che all’interno del gruppo ci sono egiziani di Al Qaida (il capo degli attentatori dell’11 settembre, Mohammed Atta, era egiziano) che sono legati alla famigerata Jama'a islamiya responsabile di numerosissime incursioni sanguinarie oltreché della strategia «turistica», quella delle bombe negli hotel e nei villaggi vacanze.
Secondo punto: il particolare che per la terza volta venga colpita la penisola del Sinai dimostra non solo la presenza in zona di una cellula di Al Qaida, ma anche la centralità che questa zona ha acquisito per i terroristi islamici. Infatti, puntando col tritolo sulle coste del Mar Rosso è possibile colpire l’economia della nazione araba ritenuta più fedele alla politica degli Stati Uniti, e al contempo utilizzare queste azioni per fare proseliti in nome della guerra al sionismo globale, essendo quell’area piena di turisti israeliani.
Terzo aspetto. La tempistica con la quale sono stati eseguiti gli attentati di Dahab conferma il supporto logistico delle tribù beduine che, a causa del loro nazionalismo, sembra abbiano voluto dare una connotazione prettamente egiziana all’operazione. Non è un caso che l’attentato sia stato eseguito in occasione di ricorrenze importanti: il giorno dell’anniversario della liberazione del Sinai dall’occupazione israeliana, il giorno della festa della Pasqua copta in Egitto, il giorno della festa della «Vittoria di ottobre» ottenuta contro Israele nella guerra del 1973. La coincidenza non è affatto casuale. La paternità degli attentati precedenti se l’è accollata il gruppo al-Tawhid wa al-Jihad i cui leader hanno confessato di aver avuto come obiettivo da colpire le località turistiche del Sinai. Stessa ammissione è stata fatta solo tre giorni fa dagli esponenti di un altro gruppo terrorista, al-Taifa al-Mansura, che hanno confessato di aver pianificato attacchi nella medesima zona. Non è un caso che entrambe le sigle si rifacciano alla dottrina salafita propria di Al Qaida e che siano state usate in passato da gruppi operanti in Irak e vicini ad al-Zarqawi. Il sospetto avuto nelle indagini degli attentati di Taba e Sharm el-Sheikh, ripreso ora per Dahab, è che sia proprio lui il regista occulto di questa escalation di violenze nella regione.

Va ricordato che l’attacco ad Aqaba e l’attentato ad Amman sono stati rivendicati proprio dal terrorista giordano, che non ha mai nascosto il piano di creare una cellula che si occupi delle attività jihadiste negli altri Paesi della regione che non siano l’Irak.

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