Il "dietrofront" di De Sica "Tornare con Boldi? Sì, ma non a Natale"

L’attore risponde all’apertura del comico: "Ci sono problemi contrattuali ma girerei un altro film con lui"

Il "dietrofront" di De Sica 
"Tornare con Boldi?  
Sì, ma non a Natale"

Piccolo festival, grande prestigio. La settima edizione di Cinenostrum nell’area archeologica di Aci Catena (Catania) è dedicata a Christian De Sica.

Gli anni scorsi i protagonisti sono stati Tornatore, Morricone, Cerami, tutti Oscar.
«Per fortuna anche mio cognato Carlo Verdone che non è un Oscar, ma un comicarolo come me. Sennò mi sarebbero tremate le gambe».

Sette film per celebrare sessant’anni e 40 di cinema: non sarà stato facile sceglierli.
«È il cinema che ti sceglie. Quando hai successo con un certo genere è difficile cambiare personaggio. Ci è riuscito Pupi Avati con Il figlio più piccolo, facendomi vincere un sacco di premi come non ne avevo vinti in tanti anni con i film di Natale. Ma ho fatto anche teatro, televisione, fiction».

E campagne pubblicitarie...
«Per sette anni sono stato testimonial della Tim. I miei amici mi volevano dissuadere. Invece quegli spot mi hanno portato tanta simpatia dal pubblico e alcuni registi mi hanno chiamato dopo avermi visto lì».

Su sette film uno solo è un cinepanettone, «Merry Christmas» di Neri Parenti.
«È uno dei meno visti ed è il preferito di Parenti, il quale ha scritto cose così commoventi nel catalogo che l’ho voluto omaggiare».

Vuol mostrare di avere una cinematografia più varia?
«I cinepanettoni sono molto visti. Per far conoscere il mio cinema meglio proporre un fritto misto».

Nel 2010 il cinepanettone non è stato il film più visto dell’anno. Finisce una moda, un costume, che cosa?
«Tra pochi giorni a Sorrento ritirerò il ventinovesimo biglietto d’oro per l’incasso di Natale in Sudafrica. È vero che Benvenuti al Sud, i film di Checco Zalone e di Aldo Giovanni & Giacomo hanno incassato di più. Ma da qui a parlare di morte dei cinepanettoni ne passa. Natale in Sudafrica ha raccolto quanto Natale a New York, con meno giorni festivi. Un film che da trent’anni ha gli stessi attori e la stessa trama può perdere qualche colpo. Ma non capisco la ragione di tanto accanimento. Anzi, la capisco».

E sarebbe?
«In Italia non ti perdonano il successo. Quando sali sul piedistallo una certa stampa prende la mira. Accade con il calcio, il cinema, la politica. Ci sta pure che qualcuno si sia stancato, prima o poi cambieremo qualcosa. Il prequel di Amici miei non è andato bene: ok. Anch’io ero contrario a un film che scomodava Monicelli. Poi mi hanno convinto e il film non era male... Ma il funerale al cinepanettone è troppo».

In «Simpatici e antipatici» di cui è anche regista il suo personaggio, nauseato dalla borghesia romana, si rifà una vita in Polinesia. Una tentazione che può sorgere anche oggi?
«Altroché. Quello era un film ben riuscito, ma sfortunato perché dissero che il povero Funari con gli occhiali da sole somigliava a Previti. La Medusa non lo spinse. Invece mi ero ispirato a un palazzinaro che viveva al circolo, forse un microcosmo poco conosciuto fuori Roma».

Anche l’imprenditore senza scrupoli de «Il figlio più piccolo» di Avati è attualissimo.
«Ammappete. Però c’è anche la speranza, che è proprio in quel figlio. Pupi dice che nel candore c’è la speranza del futuro. Quel mascalzone è così in buonafede nella sua malafede che, quando racconta il suo percorso da figlio di portiere a tycoon della finanza, si commuove».

Un regista con il quale le spiace non aver lavorato?
«Con mio padre ho fatto solo una piccola parte in Una breve vacanza. Ero agli esordi, mio padre morì due anni dopo. Perderlo così presto fu una grossa fregatura. Ora spero di essere diretto da mio figlio, così non diranno più che sono il figlio di De Sica, ma il padre di Brando».

Un personaggio che le piacerebbe interpretare?
«Un uomo per bene. Ho reso simpatiche le carogne, i parolacciari. Un personaggio positivo sarebbe una bella prova».

Cosa manca al cinema italiano di oggi?
«L’ottimismo. Il Paese ha perso freschezza e voglia di vivere. C’è un’aria lugubre. In un film del dopoguerra Aldo Fabrizi entrava in scena dicendo “Oggi è domenica, c’è il pollo”. Ci manca quella leggerezza, quella forza, sebbene non abbiamo appena perso la guerra».

Forse manca un po’ di fiducia nei nostri talenti?
«No, quella c’è. Ci sono tanti attori e autori: Muccino Martone, Garrone, Sorrentino, Ozpetek... Ecco, un sogno sarebbe interpretare una commedia sofisticata con Ozpetek o con Virzì. Spesso ho dovuto rinunciare a proposte stimolanti perché impegnato in altri progetti».

Boldi l’altro giorno ha detto che sarebbe felice di tornare a lavorare con lei.
«Anch’io con lui. Boldi lo dice, ma ha firmato un’esclusiva per sei anni con un altro produttore mentre io sono rimasto con Filmauro».

Sembrate due fidanzati che si sono lasciati e si dibattono tra rimpianti e avances.
«Fa tutto lui: se ne va, ci ripensa. Io comunque ho un bellissimo ricordo di Massimo. Da parte mia non manca la volontà.

C’è un’impossibilità di tipo contrattuale».

Però, mai dire mai?
«A parole sì, ma lui sta con Letta io con De Laurentiis. Come si fa? Io posso girare per Medusa e lui per Filmauro, certo. Ma non potrà essere un film di Natale».

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